In un sensato saggio pubblicato nel 1971 nella raccolta Verso un’ecologia della mente, l’impareggiabile antropologo e linguista Gregory Bateson – artefice della teoria del “doppio legame” – sostiene che da sobrio l’alcolizzato è «più sensato delle persone che lo circondano». Scavando tra le pagine di scrittori e filosofi – da Socrate a Leopardi, da Tolstòj a Montaigne – un alcolista sobrio va alla caccia di senso e logica, ricordandosi delle proprie compulsive passioni e delle emozioni che accomunano i seguaci di John Barlecorn e quanti riescono, invece, a non alzare il gomito. Se il primo passo è aver consapevolezza di quanto si sta bevendo, in queste pagine si incontra il cammino di chi beve e di quanti lo circondano. LEGGI DI PIÙ
La biografia di Primo Levi scritta da una persona che ha amato lo scrittore amando chi l’ha amato e gliel’ha fatto amare: perciò è «appassionata». In dodici condensati capitoli Questo è un uomo testimonia il valore del pensiero e della narrativa del prigioniero 174517 nel Lager di Auschwitz, insieme al debito personale dell’autore nei confronti di un maestro. LEGGI DI PIÙ
Il primo libro pubblicato dalla casa editrice TESSERE è Appropriazione indebita, una raccolta di trenta interviste realizzate per l’Unità da Daniele Pugliese fra il 1982 e il 1992 a filosofi, scienziati, intellettuali che hanno lasciato un grande contributo alla cultura e dalle cui parole ancor oggi è possibile trarre importanti suggerimenti per aprire i propri orizzonti e spalancare la propria mente. LEGGI DI PIÙ
Apocalisse,
il giorno dopo.
La fine del mondo fra deliri e lucidità
Pubblicato nella «collana coordinate» della casa editrice Baskerville di Bologna. Il libro, dalle ore 24 del 21.12.2012 e fino all’uscita del volume di carta è disponibile e scaricabile gratuitamente in formato ebook dal sito della casa editrice.LEGGI DI PIÙ
Pubblicato nella «collana I venticinque» della casa editrice italo-francese Portaparole di Roma ed è acquistabile in libreria oppure online. LEGGI DI PIÙ
Pubblicato nella «collana blu» della casa editrice Baskerville di Bologna, che annovera in catalogo autori quali Pier Vittorio Tondelli, Fernando Pessoa, Georges Perec ed è acquistabile in libreria oppure online.LEGGI DI PIÙ
Il racconto Sempre più verso Occidente– che dà il titolo al mio primo lavoro di scrittura “in proprio” e non “per conto terzi”, una raccolta di racconti – è preceduto da una breve introduzione in cui si riferisce della breve corrispondenza intercorsa tra me e Primo Levi quando il 21 marzo del 1986 mi decisi a spedirgli appunto quel testo in cui prospettavo un andamento diverso nell’inquietante storia da lui narrata in Vizio di forma, il secondo volume “non-memorialistico” e apparentemente fantascientifico, uscito da Einaudi nel 1971.
L’argomento centrale di Verso occidente, e quindi anche della mia successiva incursione in quella trama, è – per essere molto sintetici, essendoci molto altro in quelle pagine – il suicidio, il diritto umano più smaccatamente non ancora riconosciuto dalle Carte che regolano la convivenza degli individui sul pianeta da essi immeritatamente avuto in eredità.
In tedesco Doppelgänger significa sosia, e un sosia – com’era il servo di Anfitrione di cui Mercurio, generando equivoci e scene comiche, prende le sembianze nella commedia di Plauto Amphitruo (e poi in quella di Molière Amphitryon) – è una persona talmente somigliante a un’altra da poter essere scambiata per essa. Un “doppio”, insomma, un gemello, qualcuno che può prendere il proprio posto e fingersi noi stessi.
Ne L’altrui mestiere, in un brano intitolato Dello scrivere oscuro, Primo Levi afferma: «Siamo fatti di Es e di carne, ed inoltre di acidi nucleici, di tradizioni, di ormoni, di esperienze e traumi remoti e prossimi; perciò siamo condannati a trascinarci dietro, dalla culla alla tomba, un Doppelgänger, un fratello muto e senza volto, che pure è corresponsabile delle nostre azioni, quindi anche delle nostre pagine».
Devo delle scuse a quanti hanno partecipato alla presentazione della mia appassionata biografia di Primo Levi Questo è un uomo, che, per interessamento del mio insostituibile amico Gian Luca Corradi e di Silvia Alessandri, vicedirettrice della Biblioteca Nazionale di Firenze e convinta socia di TESSERE, si è tenuta martedì 30 gennaio alla Biblioteca Nazionale con la partecipazione appunto del suo direttore, Luca Bellingeri, di Renzo Bandinelli, chimico e rappresentante della Comunità ebraica di Firenze, di Maria Cristina Carratù, giornalista di “Repubblica” con cui ho condiviso molti anni fa un bel pezzo della mia carriera professionale quando entrambi seguivamo la politica al Comune di Firenze, ed al professor Massimo Bucciantini, docente all’Università di Siena ed autore di vari bei libri tra cui Esperimento Auschwitz dedicato all’approccio scientifico impiegato da Primo Levi nella sua narrativa e al rapporto fra lo scrittore torinese e Franco Basaglia, l’uomo che vivaddio ha sradicato l’esistenza dei manicomi.
Su “Succedeoggi” prima e su TESSERE poi, il mio racconto inedito, Il Periodo, scritto fra il 1993 e il 1994, e inserito nella raccolta ancora in attesa di pubblicazione, Fatti di cronaca. Nel sito cugino di «informazione della cultura quotidiana», è stato illustrato con il dipinto Madre e figlia, di Pablo Picasso del 1902. Eccolo:
Il Periodo
«Lui appuntava con la sua M quelle intrusioni violente nel gioioso andamento del loro amore. Sfogliava le pagine contando, senza badare al nome dei giorni, alla data che compariva in alto, al santo consacrato»
La notizia del ritrovamento in un cassonetto a Roma, nel quartiere Parioli, di due gambe di donna presumibilmente tagliati a colpi d’ascia, mi induce a pubblicare un racconto, compreso in una raccolta non ancora pubblicata, che ho scritto nell’ottobre del 1997, prendendo spunto da un fatto di cronaca avvenuto a Reggio Emilia alla fine degli anni Novanta a cui “Mattina”, il quotidiano locale distribuito insieme a “l’Unità” di cui ero vicedirettore, dette ampio spazio. Si intitola La gamba.
Sono stato invitato a partecipare – e ringrazio chi l’ha fatto soprattutto perché so essere persona degna di rispetto, che rispetto mi ha sempre portato – ad un convegno che si terrà sabato prossimo, il 27 maggio, a partire dalle 15.30, al Palazzo degli Affari di Firenze in Piazza Adua. Da lungo tempo in gestazione, è stato organizzato da tre Logge fiorentine – la “Avvenire”, la Giuseppe Dolfi e la Fedeli d’Amore – del Grande Oriente d’Italia, una delle due branche della Massoneria ufficiale italiana, nota anche come “obbedienza di Palazzo Giustiniani” per distinguerla dall’“obbedienza di Piazza del Gesù”. Il convegno ha per titolo Pregiudizio e chiarezza, gli elenchi dei massoni vent’anni dopo.
Gli elenchi a cui si fa riferimento sono quelli che comparvero nelle edicole della Toscana il 13 ottobre 1993, per la precisione 25 anni fa, in un libercolo di 112 pagine allegato al n. 233 del quotidiano “l’Unità”, il cui colophon precisava: coordinamento di Gabriele Capelli e Daniele Pugliese. Quel libretto conteneva appunto tutti i nomi degli iscritti alle Logge massoniche di Firenze e Prato, venuti all’epoca in possesso della redazione di Firenze del quotidiano fondato da Antonio Gramsci e diretto da Walter Veltroni, di cui allora ero vicecaporedattore ma con la qualifica di caposervizio.
Marco Belpoliti e Anna Benedetti alla presentazione di "Primo Levi di fronte e di profilo". Foto di Andrea Ruggeri (andrea@nonamephoto.it)
Non mi era mai capitato – eppure non è attività che non abbia praticato nella mia ormai lunga vita – di vedere, alla presentazione di un libro, l’autore “commuoversi” per il contenuto di quanto ha scritto, diciamo così “per l’oggetto” della sua narrazione.
Ma c’è sempre una prima volta. A Marco Belpoliti – tenace curatore delle Opere di Primo Levi e adesso autore di 736 magiche, intriganti e preziose pagine intitolate Primo Levi di fronte e di profilo che Guanda ha mandato in libreria un anno e mezzo fa, ospite ieri con Giovanni Falaschi della rassegna “Leggere per non dimenticare”, da molti anni prestigiosa vetrina della migliore editoria messa in piedi da Anna Benedetti – si è spezzata la voce facendo un inciso sulla poco esplorata attività poetica di Primo Levi, quei 45 componimenti in versi contenuti in Ad ora incerta, edizione Garzanti perché Einaudi li snobbò, più gli 11 ripescati proprio da Belpoliti nelle Opere del 1988. «Le poesie sono il grido di dolore di Primo Levi», ha detto quasi facendo fatica a pronunciare quelle parole.
Questo il comunicato stampa emesso il 10 dicembre, giornata mondiale dei diritti umani, da TESSERE, la casa editrice a cui ho dato vita insieme ad alcuni ottimi amici:
Una nuova casa editrice
perTESSEREsapere e relazioni
Nasce una nuova casa editrice. Si chiama TESSERE e, nelle intenzioni dei suoi fondatori, a fianco dei libri tenterà di produrre, con il sostegno dei soci dell’omonima associazione culturale, anche iniziative di qualità capaci di far riflettere, diffondere il sapere, far crescere la consapevolezza.
Il 15 agosto scorso, nel post intitolato Un libro per i miei lettori, annunciavo la pubblicazione in questo blog delle 30 interviste, realizzate quando lavoravo a l’Unità a grandi personaggi della cultura – Garin, Rubinstein, Haskell, Rossi Monti, Geymonat, Thom, Quine, Toraldo di Francia, Eco per dirne alcuni – che avevo assemblato con il titolo Appropriazione indebita, sottolineando in questo modo il debito agli intervistati più che all’intervistatore, e che molti miei amici, i quali avevano avuto occasione di leggerle così raccolte, insistevano perché divenissero di dominio pubblico, prendessero la forma di libro.
Spiegavo in quel post tanto i motivi della mia ritrosia ad accogliere quell’insistenza, quanto il fastidio accumulato nelle relazioni con molti editori ai quali invano ho inviato il dattiloscritto di quasi una decina di titoli che giacciono nel mio cassetto, ricevendo risposte o preconfezionate o contraddittorie, incomprensibili o non ricevendone affatto.
Questo il testo della relazione Attualità dell’idea di Apocalisse che ho presentato ieri all’incontro su “Apocalissi ieri e oggi” nell’ambito del ciclo Incontri alla fine del mondo organizzato dal Museo Pecci di Prato ed al quale hanno partecipato il professor Marco Ciardi dell’Università di Bologna, che ha parlato di Apocalissi e ricerche d’altri mondi. Atlantide e non solo, e il professor Andrea Mecacci, dell’Università di Bologna, con un intervento su Estetiche dell’apocalisse:
«Alea iacta est». Secondo Svetonio la frase l’avrebbe pronunciata, nella notte del 10 gennaio del 49 a.C. Giulio Cesare varcando il fiume Rubicone e prendendo quindi una decisione senza possibilità di appello.
Vien tradotta con «Il dado è tratto» e sta a significare che la decisione è stata presa e qualunque siano le conseguenze vanno messe nel conto e non si torna indietro.
Corsi e ricorsi dell’amplesso. Come fenomeno sociale va e viene, non gli si sta dietro. A leggere le poco succulente inchieste dei settimanali ci si scopre sette giorni assatanati e sette in clausura. qual è la verità? Chi può dirlo meglio di Willy Pasini, una delle voci più autorevoli della sessuologia europea, docente al dipartimento di psichiatria dell’Università di Ginevra e direttore scientifico dell’Istituto internazionale di sessuologia di Firenze?
Spesso si sente parlare di caduta del desiderio sessuale. Secondo lei è un fenomeno che esiste veramente? È la diffusione dell’Aids la sua causa?
Era una donna bellissima. La fine lenta e drammatica di Rita Hayworth richiamò l’attenzione del mondo sulla malattia che aveva reso insopportabile gli ultimi giorni della sua vita: il morbo di Alzheimer. Lo scrittore John Irving raccontò un dramma simile nel suo libro Le regole della casa del sidro. Seicentomila casi solo in Italia e l’incremento va di pari passo con l’invecchiamento della popolazione. Ne abbiamo parlato con il professor Luigi Amaducci, coordinatore del progetto europeo di studio sul morbo.
Con Antonella Blanco, Rita Martinelli, Luigi Chicca e Massimo Bellomo abbiamo raccolto poco meno di un centinaio di euro con i quali acquistare una copia dei 5 volumi di Da Gramsci a Berlinguer. La via italiana al socialismo attraverso i congressi del Partito comunista italiano, pubblicato nel 1985 dalle Edizioni del Calendario insieme alla Marsilio, curato da mio padre, Orazio Pugliese, con una introduzione di Renato Zangheri ed il contributo di Renzo Pecchioli (vol. I – 1921 – 1943), Sergio Bertolissi e Lapo Sestan (vol. II° – 1944 – 1955), Francesco Benvenuti (vol. III° – 1956 – 1964) e mio insieme a mio padre (vol. IV° – 1964 – 1975 e vol. V° – 1976 – 1984, per i quali sono stati preziosi i contributi di Eva Pollini e Gian Luca Corradi).
È l’ultimo elogio della pazzia. L’ultimo di una lunga tradizione che, da Freud a Basaglia, ha tentato di spezzare i reticolati del lager fisico e ideologico in cui sono sempre stati tenuti i cosiddetti malati mentali.
A farsi promotore dello «scandalo» un’organizzazione inglese che si chiama «Mind» e che sta lavorando per far curare i «matti» dai «matti».
«Proprio così», racconta lo psichiatra fiorentino Pino Pini, l’unico italiano ad aver partecipato al convegno tenutosi a Brighton nel settembre scorso per iniziativa appunto del «Mind» e dell’«Health Authority of Sussex», per così dire l’Usl della regione che ospita la cittadina britannica.
Per la maggioranza è solo un fastidioso obolo alla burocrazia. Tanto più detestabile perché accompagna il dolore del lutto. Ma il «certificato di decesso» per qualcuno è una fonte inesauribile di dati e notizie che possono dirci molto sui vivi più che sui morti.
Eva Buiatti, epidemiologa al Centro studi prevenzione oncologica di Firenze, l’unica struttura pubblica italiana che opera in questo settore, è uno degli oltre 300 medici che hanno partecipato al convegno nazionale sugli studi di mortalità che si è recentemente tenuto nel capoluogo toscano. Giunto alla quarta edizione, il convegno ha triplicato, in pochi anni, le presenze. «Segno – dice la dottoressa Buiatti – di un interesse crescente in Italia per la statistica».
Avvertenza: invecchiare a piccole dosi. Se il professor Mario Barucci avesse messo a punto un farmaco, anziché scrivere un libro, avrebbe probabilmente chiesto che sulla confezione del medicinale venisse stampato in neretto quell’avviso. Invece, dopo anni di lavoro sul campo – è stato primario degli Ospedali neuropsichiatrici fiorentini – ha voluto cimentarsi con un saggio che non intende presentarsi come un vademecum rivolto all’anziano per campare meglio, piuttosto come uno strumento «non solo per il geriatra, ma per ogni medico: addirittura per il pediatra e per il neuropsichiatra infantile», perché «la preparazione alla vecchiaia deve iniziare dai primi anni di vita».
«…sarebbe molto stupito all’idea che qualcuno possa considerarlo uno stupratore». Finiva così la testimonianza raccolta da Gianna Schelotto sull’«Unità» del 17 novembre di uno stupro «gentile». Sarebbe davvero molto stupito quello stupratore? La domanda l’abbiamo girata allo psicologo Giorgio Abraham, avvicinandolo al convegno della Società italiana di sessuologia tenutosi a Firenze. E gli abbiamo chiesto di ricostruire la psicologia di un ipotetico stupratore, magari «gentile» come quello della testimonianza di Gianna Schelotto.
Non è il primo ad essersi cimentato in questa titanica, e un po’ donchisciottesca, impresa: demolire la psicoanalisi come fosse un castello di carte da gioco. Ma l’approccio di Adolf Grunbäum alla teoria freudiana è senz’altro serio e, comunque, motivato più da un interesse epistemologico, di critica cioè dei presupposti scientifici, che dal livore verso la terapia dietro cui spesso si nasconde solo l’inconscio timore dell’inconscio. Altra cosa è che alla fine del suo ragionamento finisca per liquidare, con la teoria di Freud, anche il lettino e la prassi psicoanalitica.
Il sistema più conosciuto è probabilmente quello del nodo al fazzoletto. Ma di metodi per ricordare, attraverso i secoli, l’uomo ne ha inventati parecchi. A ripercorrerli e decodificarli, Paolo Galluzzi, direttore del Museo di storia della scienza di Firenze, ha chiamato alcuni fra gli studiosi più prestigiosi dell’Occidente: dallo storico della filosofia scientifica Paolo Rossi, a Umberto Eco che, accantonato l’abito del romanziere, si è rivestito dei suoi panni di semiologo; dal premio Nobel della medicina Gerald Edelman al neurologo Oliver Sacks, arcinoto autore di quel L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello di cui tanto si è parlato quando è apparso in Italia da Adelphi. Tutti riuniti per tre giorni a Firenze a parlare della “Cultura della memoria”, convegno di studi che ha fatto da preludio alla mostra “La fabbrica del pensiero: dall’arte della memoria alle neuroscienze” che da oggi al 26 giugno sarà ospitata in Forte Belvedere.
Alopecia (calvizie) – una malattia caratterizzata dalla perdita dei capelli esistenti sulla testa e dal disturbo della crescita di nuovi capelli. Questa è un’altra ragione per acquistare finasteride online in Italia senza ricetta medica. Gli uomini con calvizie maschile di solito cercano di usare il Propecia se la loro fiducia o autostima è stata colpita dalla perdita dei capelli.
All’Albertina Museum di Vienna c’è un disegno di Rembrandt che raffigura un filosofo. Col dovuto rispetto a Rembrandt, sembra Mago Merlino assorto nei suoi pensieri a metà strada fra la terra e le stelle. Se Remo Bodei ha visto quel quadro non sapremmo dire, ma certo a dedurre dall’intervento che ha fatto qualche giorno fa al Gabinetto Vieusseux di Firenze, il suo ideale di filosofo sembra molto lontano da quell’uomo assorto. Il tema della relazione era «Finestre sul mondo: la conoscenza dei sensi». Un invito ad una vita piena, fatta sì di pensieri e parole, ma anche di piccoli fondamentali godimenti, senza i quali difficilmente si possiede il mondo in tutta la sua pienezza.
2.13. Paolo Manzelli: La scoperta dell’acqua calda
«Hanno scoperto l’acqua calda!». Animato, polemico, veemente, Paolo Manzelli, docente di chimica all’Università di Firenze, insiste, con la stessa ostinazione con cui da anni organizza convegni per un comitato che si propone di dar vita ad una nuova educazione scientifica. Questa volta però tanta agitazione è per mostrare le carte che dimostrerebbero che la «memoria dell’acqua» fu scoperta molti anni fa e che, se finora non se ne era parlato, è perché c’è una sorta di complotto nel mondo della scienza. «Di ciò che non rende in termini di soldi non si parla – dice sicuro – e chi avrebbe osato schierarsi contro l’industria farmaceutica senza temere di non vincere un concorso o di perdere il posto?».
«Non è facile che 40 persone riescano a stare su una nave tra i ghiacci dell’Antartide per tre mesi senza darsi noia, riuscendo ad andare d’accordo. Soprattutto se tutti e quaranta hanno diverse esigenze di ricerca. Ci vuole il coraggio di rinunciare alle proprie cose per quelle degli altri». Il professor Mario Innamorati, docente di ecologia vegetale all’Università di Firenze, è rientrato da pochi giorni in Italia. È stato con la spedizione italiana in Antartide, «il punto della terra più lontano dal mondo industrializzato», lo «zero» nella scala dell’inquinamento. Ecco il suo racconto di viaggio.
Mentre stavo scrivendo un articolo che pubblicherò nei prossimi giorni intorno alla figura di Italo Calvino, ieri ascoltavo a Radio 3 Peppe Servillo leggere brani delle visibilissime Città invisibili dal palco della festa dell’emittente culturale della Rai che, con il pensiero rivolto ai terremotati, fino a domani si svolge a Matera avendo come tema intorno al quale ruotano gli eventi le utopie e le distopie, e prima di sentire quelle concise, accurate geografie metropolitane fantastiche, avevo sentito ospiti della trasmissione ricordare che in questo 2016 ricorrono i 500 anni dell’Utopia di Tommaso Moro, il testo che ha introdotto questo concetto – quantunque i “non-luoghi” esistano fin dall’antichità, ne è piena la mitologia e l’epica greca, ma che altro è l’Atlantide di Platone? – ed i rimandi che da questa parola giungono ad Adriano Olivetti, personaggio a cui sto prestando sempre maggior attenzione.
Ascolto tutto questo e mi sovviene che il titolo originale dell’intervista contenuta in Appropriazione indebita nella quale Eugenio Garin storceva il naso all’ipotesi di affossare, con il nome del Pci, la molla che fa desiderare di non aspettare il paradiso nell’al di là e di avere dei valori in cui credere era proprio Ma un’utopia deve restare, e che anche un intero capitolo, il nono per la precisione, del mio Apocalisse, il giorno dopo. La fine del mondo fra deliri e lucidità, pubblicato da Baskerville nel 2012, tratta proprio il medesimo argomento.
Scandisce ininterrottamente la nostra esistenza. Ci assilla, lo guardiamo mille volte con angoscia, eppure al significato che racchiude non facciamo più caso. È «chiacchierato», ma solo perché di questi tempi è uno degli oggetti più alla moda. Dimmi che orologio hai e ti dirò chi sei, ci martella la pubblicità. Ma il tempo, al di là delle lancette, degli orari ferroviari, del timer sul computer, del cartellino in ufficio, che cosa significa per noi? Se l’è chiesto il musicologo Albert Mayr. Docente a Firenze, Montreal e Monaco, è membro della Società internazionale per lo studio del tempo e dell’Associazione per lo studio sociale del tempo. Insieme a studiosi di altre discipline sta facendo una ricerca sulla percezione del tempo finanziata dal Cnr. Lo studio è all’inizio. Ma le ipotesi su cui si regge la ricerca si basano su impressioni già raccolte. Innanzitutto che tutti noi costruiamo o lasciamo costruire nella nostra testa una certa immagine del tempo. Un’immagine che possiamo tradurre in segni grafici, in percezioni musicali, in atteggiamenti psicologici.
Era la notte fra il 23 e il 24 febbraio. Esattamente 170 mila anni fa. Le tenebre dell’universo s’illuminarono d’un tratto. Il segnale arrivò anche qui sulla Terra, ma solo l’anno scorso. Gli astronomi che lavorano nell’emisfero sud riuscirono ad osservarlo, per la prima volta così vicino. Era esplosa una «Supernova» nella nube di Magellano, a 170 mila anni luce dalla terra.
Che cos’è successo quel giorno? Lo abbiamo chiesto al professor Franco Pacini, direttore dell’osservatorio astrofisico di Arcetri.
In una pausa del convegno organizzato dal Centro fiorentino di storia e filosofia della scienza in collaborazione con l’Istituto francese di Firenze su «La rivoluzione francese e la scienza», Roger Hahn, docente al dipartimento di storia dell’Università di Berkeley, scambia due parole con Sandro Pagnini, direttore del Centro fiorentino. Lamentano l’assenza al convegno degli storici e la scarsa attenzione che nei loro studi rivolgono agli aspetti scientifici della Rivoluzione francese.
Ha da poco preso il posto che dal 1957 era del comandante Cousteau. François Doumenge è il nuovo direttore del Museo oceanografico di Monaco, «uno dei punti più qualificati per l’osservazione del Mediterraneo». Esperto di oceanografia tropicale, Doumenge ha partecipato recentemente a un convegno sui parchi marini che si è tenuto a Firenze. Lì lo abbiamo intervistato.
Professor Doumenge, la malandata Terra è finita sulla copertina di «Time» come personaggio dell’anno. Nel 1990, secondo lei, farebbero bene a metterci il mare?
Le sembrerà paradossale, ma l’uomo non ha distrutto tantissimo il mare. L’uomo tocca solo piccoli settori del mare. Il Mediterraneo è uno di questi. Ma c’è una cosa molto importante che non molti sanno: le catastrofi naturali hanno molto più rilievo delle azioni umane.
«Per un po’ si può vivere anche in presenza di grandi cambiamenti, ma poi c’è una frattura. E quasi sempre, a quel punto non si può tornare alle condizioni di prima». Peter Bunyard, condirettore della rivista britannica «The ecologist» non sembra un catastrofista. Ha la flemma del ricercatore, guarda ai fatti con crudezza, li descrive con precisione, non lascia spazio all’emotività. Ma questo non gli impedisce di mettere in guardia dal limite, dal punto di non ritorno. È intervenuto alla conferenza internazionale sulla distruzione delle foreste tropicali organizzata nei giorni scorsi a Firenze dagli Amici della Terra e lì lo abbiamo intervistato.
La corsa è stata troppo frenetica e dopo la bomba di Hiroshima ci vuole più cautela. Troppi rischi che mettono a repentaglio l’orizzonte in cui vivranno le nuove generazioni. Jeremy Rifkin non nasconde la sua paura. È convinto che non sia solo sua.
Il 24 e il 26 agosto scorsi, con i post Questo terremoto e Un articolo sul Journal del Pecci, ho avuto occasione di tornare sul tema trattato nel mio Apocalisse, il giorno dopo, pubblicato da Baskerville nel 2012 alla vigilia della catastrofe annunciata per il 12.12.12, in una rilettura “new age” di un’iscrizione Maya condita di calcoli astronomici sul possibile impatto di un corpo celeste con il pianeta Terra, ovvero sia con il tema al quale ho dedicato, nei ritagli di tempo concessi da un lavoro che se fatto con scrupolo occupa molte ore al giorno e molti giorni all’anno e molti anni in una vita, il tema della fine del mondo, a cui il Centro Pecci, dedicherà una mostra a partire dal 16 ottobre prossimo, quando verrà inaugurato, dopo molti anni di restauro, il museo d’arte contemporanea di Prato.
In preparazione di quell’evento, per dettagliarne i contorni e fornire le correlazioni, il Pecci, nella Sezione journal nel suo sito internet ha iniziato, a partire dal 16 marzo scorso, la pubblicazione di una serie di articoli, interventi, interviste dedicate appunto alle varie facce del Tema fine del mondo, ed è nell’ambito di queste che mi è stato chiesto di scrivere l’articolo citato, pubblicato il 25 agosto con il titolo La fine del mondo. Ancora.L’apocalisse: un’idea, come quella dell’amore, che pervade la cultura di tutti i tempi.
2.5. Giuliano Toraldo di Francia:
Distinzioni apocalittiche
Fin dalle sue origini, il pensiero apocalittico moderno, ha avuto come perno un atteggiamento di dura condanna verso la scienza: la tecnica, il dominio dell’uomo sulla natura, il mondo della calcolabilità per molti filosofi, scienziati e letterati di questo secolo sono stati i fenomeni più appariscenti di un’imminente fine del mondo. Il tema permane ancor oggi, nutrito dalle paure che abbiamo tutti. Ma l’equazione che mette in relazione scienza e catastrofe è davvero sensata? Ne parliamo con il fisico Giuliano Toraldo di Francia.
Ottant’anni esatti, allievo di A.N. Whitehead, Willard Van Orman Quine è passato dalla matematica (in cui si è laureato) alla logica, alla filosofia. Alla filosofia della scienza e del linguaggio, disciplina quest’ultima, dove ha speso le sue più recenti risorse.
Sul frontespizio c’era scritto: MDCXXXVIII. Trecentocinquanta anni fa Galileo Galilei mandava alle stampe i suoi Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attinenti alla meccanica e ai movimenti locali. A ricordare quei fondamenti della scienza e della tecnica l’Università di Firenze, nei giorni scorsi, ha chiamato vari studiosi, tra cui lo storico della filosofia Ludovico Geymonat. Lo abbiamo intervistato e ne è venuto fuori qualcosa di più di una commemorazione.
Cinque volumi, tremila pagine, quasi quattro secoli di teorie ed esperimenti scientifici passati al setaccio. Paolo Rossi Monti, docente di storia della filosofia all’Università di Firenze, da poco nominato membro dell’Accademia dei Lincei, nello studio di casa sua apre la scatola che gli è stata appena recapitata dalla Utet di Torino. Fresca fresca di stampa ecco la Storia della scienza che ha impegnato Paolo Rossi e sette suoi prestigiosi collaboratori per ben diciassette anni.
Tiene lezione nel santuario dell’infinitamente grande edell’infinitamente piccolo, in quell’Atlantide dell’universo scientifico dove le particelle atomiche sono state fatte correre ad una velocità tale che, scontrandosi, hanno riprodotto in laboratorio ciò che presumibilmente è successo 15 miliardi di anni fa, il big-bang.
Al Cern di Ginevra, ospite del fisico Ugo Amaldi e dell’Istituto italiano per gli studi filosofici che nella città svizzera ha portato la mostra su «Federico Cesi e la fondazione dell’Accademia dei Lincei», sale in cattedra René Thom, discusso personaggio nella comunità internazionale della ricerca scientifica, ma indubbiamente uno dei pochi viventi che dai nostri nipoti saranno ricordati come noi oggi ricordiamo Bacone o Darwin, se non proprio Galileo o Einstein.
Nelle settimane in cui gli iscritti al Partito comunista italiano si interrogavano, felici o inquieti, sul significato della loro esperienza e sui lidi ai quali approdare, in libreria usciva un volume di Michela Nacci, pubblicato da Bollati Boringhieri, che si intitola L’antiamericanismo in Italia negli anni Trenta. Michela Nacci è una giovane ricercatrice fiorentina che nei suoi studi, il più importante dei quali è senz’altro Tecnica e cultura della crisi edito da Loescher, ha scandagliato la cultura della crisi e la letteratura sul tramonto dell’Occidente in Europa fra le due guerre. È percorrendo quella strada che si è imbattutta nell’antiamericanismo.
Davanti alla porta dello studio del professor Francesco Adorno al Pellegrino in via Bolognese, dove c’è l’Istituto di filosofia dell’Università, una piccola coda di studenti aspetta il ricevimento del docente. Non sono una folla, ma non sono neanche pochi. È lo stesso professor Adorno che mette in relazione quell’assembramento con quell’interesse per l’antichità per cui sono andato ad intervistarlo.
L’autocritica è già iniziata. Troppo poco si è discusso del peso che ha la politica fiscale, quasi sempre fatta passare in secondo piano, dopo la produzione, i rapporti tra le classi, gli equilibri politici. È una riflessione entrata nel dibattito politico di questi giorni, arricchito da un fuoco di fila di prese di posizione proprio sul tema delle tasse. Ma l’autocritica non è solo immediata. Ha un retroterra storico, delle costanti sulle quali si è soffermato Mario G. Rossi, docente di storia contemporanea all’Università di Firenze, allievo di Ernesto Ragionieri. La sua ricerca sulla riforma fiscale in Italia dall’Unità ad oggi, o meglio, sul «problema storico» di questa riforma, su ciò che ha significato storicamente e politicamente e non sugli aspetti tecnici, è stata appena pubblicato nel numero 170 della rivista «Italia contemporanea».
Ho un po’ di colleghi con i quali aver lavorato per tanti anni fianco a fianco, anche di qua e di là della barricata, o almeno dall’una e dall’altra parte della scrivania, o chi in versione di raccoglitore e chi in quella di fornitore di notizie, significa ancora parlarsi, valutare insieme se una cosa meriti o meno di essere raccontata e poi, via, se non con l’adrenalina che si scatena quando in redazione si viene a sapere di un delitto, ventre a terra e lavorare.
Così, letto il comunicato stampa che AliComunicazione ha diffuso per dar notizia della pubblicazione nel mio blog delle 30 interviste raccolte in Appropriazione indebita che spero poi usciranno in un e-book, Giacomo Guerrini mi ha cercato da Radio Toscana (la si trova sui 104.7 in FM a Firenze), una delle più ascoltate sull’intero territorio regionale e poi mi ha fatto intervistare da Leonardo Canestrelli. Questo il dialogo che ne è venuto fuori. Con in fondo, forse, una piccola notizia aggiuntiva.
Per fare una capitale – e ancor più, anche se solo per un anno, una capitale europea della cultura – ci vuole prima una città. Una città che, nella sua lunga storia, è stata capitale. Era la tappa intermedia per avvicinare il governo dello Stato unitario, dalla «lontana» e «sbilanciata» Torino alla centrale e universale Roma: in mezzo c’era Firenze, culla di cultura e di governo illuminato, centro celebre in tutto il mondo, meta obbligata di pellegrinaggi colti ed artistici.
Enrico Zoi dev’essere entrato al liceo Nicolò Machiavelli di Firenze, all’epoca ospitato dentro la medicea Fortezza da Basso dove ormai si fan solo più mostre di second’ordine o più blasonate sagre di paese, un paio d’anni prima che io, ripetente di un anno perso al ginnasio, me ne stavo per uscire e, se non ricordo male, partecipava a un po’ delle sterminate riunione che si organizzavano all’epoca nelle scuole o nelle case del popolo.
Ci siamo rivisti molti anni dopo tenendoci però, credo, reciprocamente sott’osservazione, perché, come un’altra mezza dozzina di compagni del liceo – mi vengono in mente ovviamente Mario Fortini, e poi Simone Fortuna, Paola Emilia Cicerone, Paolo Russo, per certi versi Francesco Maria Cataluccio, coautore con me di un resoconto sull’ultimo seminario di Cesare Luporini all’Università, e, ma andando ai tempi delle medie anziché delle superiori, Stefano Bucci, sperando non me ne voglia chi rimasto fuori dalla lista –, abbiamo poi intrapreso, con le opportunità che ciascuno ha avuto a disposizione, il medesimo mestiere, quello di dare informazioni, nobile variante di un’attività che c’è chi dice sia quella di far la spia.
Nicolaj Rubinstein, docente di storia al Westfield College dell’Università di Londra, è il curatore dell’edizione completa delle Lettere di Lorenzo dei Medici , pubblicata dalla casa editrice Giunti e Barbera di Firenze.
Quali sono le caratteristiche del progetto del Carteggio, da lei diretto?
La domanda mi impone di affrontare il problema della consistenza delle lettere superstiti di Lorenzo. Pur avendo il controllo della politica fiorentina, Lorenzo non aveva una posizione ufficiale a Firenze. Formalmente era un cittadino privato.
Manuela Plastina, brava e gentile collega della “Nazione” di Firenze con cui ho sempre avuto rapporti schietti e corretti come si conviene tra due seri professionisti, ha pubblicato sul quotidiano fiorentino di oggi questo articolo.
La paura che il mondo possa finire viene in mente tutte le volte che la Terra trema, come alle 3.36 di questa mattina, e poi ancora un’altra scossa. Epicentro ad Accumoli vicino a Rieti, ma la percezione del sisma si è avvertita anche a Roma e a Bologna.
La Terra trema e chi la sente tremare pensa sia giunta la fine. Spesso per qualcuno è così: oggi si contano già 23 morti, ma i dispersi sono tanti e la cifra è destinata a crescere.
Professor Haskell, lei ha indagato a fondo il rapporto tra artisti e mecenati nell’età barocca. Cosa può dirci del mecenatismo a Firenze in pieno Rinascimento?
C’è una grandissima differenza tra il mecenatismo dei Medici, e di Lorenzo in particolare, e quello che ho studiato in epoca più tarda, nell’età barocca. La differenza più importante deriva dal fatto che a Firenze, in pieno Rinascimento, la società era ancora una repubblica. Non c’era una corte, o un papa, o un cardinale.
Eugenio Garin ci tiene a precisarlo. Non è iscritto al Pci, non parla della svolta «da dentro». Il che, lo sa, gli impedisce di dire delle cose che altri possono dire, ma anche gli permette di dirne delle altre che altrimenti dovrebbe tacere. Da «partecipe osservatore esterno» ha seguito questo «sconvolgimento» cercando di guardare ai fatti con quel rigore con cui per tutta la vita ha osservato la storia della cultura italiana. Un rigore che è innanzitutto tentativo di spiegare storicamente quello che succede. L’intervista con lui sposta leggermente il tiro dal titolo dell’inchiesta: la nuova teoria politica diventa storia della nuova teoria politica.
Sono riusciti a convincerlo. Con qualche dubbio, ma l’ha fatto: poco più di trenta pagine per raccontare il suo itinerario filosofico, una sorta di autobiografia intellettuale che ha tutto il sapore di un rapido affresco sulla cultura del nostro secolo.
Sessant’anni dopo è il titolo del saggio di Eugenio Garin che la rivista «Iride», il semestrale della sezione di filosofia dell’Istituto Gramsci toscano, manda in libreria in questi giorni. «Iride» è una rivista atipica nel panorama delle pubblicazioni filosofiche italiane: raccoglie non solo generazioni diverse di studiosi, ma anche correnti di pensiero che, se è vero che hanno voglia di dialogare, è altrettanto vero che distano molto l’una dall’altra.
Ho raccolto, e ripubblico da oggi a puntate sul mio blog, contrassegnandoli con la sigla AI e la numerazione dei capitoli, alcune delle interviste fatte nei tanti anni che ho lavorato a l’Unità. La maggior parte di esse, è nella forma classica: domanda e risposta. Questo è il primo tratto comune che le tiene insieme. Solo in pochi casi, la forma giornalistica è diversa. La testimonianza di Mario Innamorati su una delle prime spedizioni scientifiche italiane in Antartide, per esempio, è raccontata in prima persona, quasi come un diario di bordo, perché il lettore si potesse sentire sul ponte di quella nave. Così anche il pezzo su Remo Bodei esula dalla forma classica di intervista: è il resoconto di un suo intervento a un convegno, ma il contenuto e soprattutto il «protagonista» rientravano a pieno titolo nel disegno che avevo in mente preparando questa raccolta. Idem per l’articolo con il professor Francesco Adorno.
Diversi anni fa ho sottoposto al giudizio di persone che stimo ed apprezzo, le quali mi vogliono bene ma sono più propense a criticarmi che a molcirmi, alcune delle interviste che, nel corso della mia carriera giornalistica – iniziata, dopo qualche piccolo esperimento giovanile, nel 1978, quando entrai nella redazione de l’Unità –, ho avuto l’opportunità di fare a personaggi del mondo della scienza e della cultura e che, in maniera artigianale ma non priva di mestiere, già nel 1998, avevo raccolto in un volumetto dalla copertina blu ad uso mio e degli amici, intitolato Appropriazione indebita.
Mi hanno scritto dei miei racconti Sempre più verso Occidente:
«Ho letto i suoi racconti (…)
sono rimasto sorpreso dall’argomento e dal tono (…)
sono molto leviani e al tempo stesso non lo sono
mi hanno aiutato a capire quanto dolore ci fosse in quei racconti dello scrittore torinese
ho ritrovato la stessa cosa in lei, ma con minore lievità e con minore speranza
in fondo Levi pensava il mondo riformabile
in lei c’è una delusione più profonda e una amarezza simile ma diversa, non so dire quanto e come diversa
ma la sento
sono una bellissima prova letteraria anche se si sente il debito con l’ispiratore e la devozione al modello».
Per correttezza, non avendo avuto alcuna autorizzazione a diffondere un testo privato, non dico chi ha scritto queste parole. Al quale va la mia gratitudine.
Nei miei cassetti giace, tra le tante altre cose, un racconto che tenta di immaginare cosa si provi ad uccidere un uomo e, per quanto già molti altri splendidi libri si siano cimentati con la materia e ci forniscano ipotesi in tale direzione, mi rattrista che a nessun editore, avendo letto qualche recensione su Sempre più verso Occidente o su Io la salverò, signorina Else, rispettivamente pubblicati da Maurizio Marinelli di Baskerville e da Emilia Aru di Portaparole, sia venuto in mente di chiedermi se dispongo di altri manoscritti e di darci una curiosa occhiata.
È un racconto che scandaglia una zona nella quale si spera di non doversi mai trovare e, per quanto si sia certi di disporre di un freno inibitorio assoluto in quel senso, uno scenario plausibile che non va mai scartato a priori, avendo la consapevolezza che se in così tanti, a partire da Caino, si sono sporcati le mani, vuol dire che se è successo, può accadere di nuovo, proprio come l’Olocausto, e bisogna tener deste le difese immunitarie che ci preservino da quegli orrori. Il che non vuol dire ignorarli.
A pagina 27 del Corriere della Sera di lunedì 12 ottobre 2015 Davide Casati aggiunge meritoriamente un capitolo al mio libro Apocalisse, il giorno dopo. La fine del mondo fra deliri e lucidità, pubblicato in e-book dalla Baskerville di Bologna alla fine del 2012, poco prima di quel 21 dicembre – il 21 12 2012 – che, secondo un’antica profezia Maya letta in una rifrazione sullo specchietto per allodole, avrebbe dovuto segnare l’apocalisse per mano di un meteorite caduto al centro della Terra come narra un film di Von Triers.
Il numero di domenica 31 maggio de “La lettura”, l’inserto domenicale del Corriere della Sera, proponeva la rilettura, o il rimaneggiamento, che 4 scrittori contemporanei – Fabio Genovesi, Paolo Di Stefano, Charles Dantzig e Clara Sànchez – hanno fatto di altrettanti classici, anzi capolavori, ovvero sia, in ordine, Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde, I promessi sposi di Alessandro Manzoni, Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust e Dottor Jekyll e Mr. Hyde di Robert Louis Stevenson.
La particolarità della rilettura è data dall’irruzione nelle trame datate rispettivamente 1891, 1840, 1913-27 e 1886, di “oggetti e pratiche della contemporaneità digitale”, sì che l’uomo più bello del mondo, immortalato sulla tela da Basil Hallward in seguito ad un baratto già sperimentato da Faust in tutte le sue varie versioni, possa schernire l’elisir di eterna giovinezza, assurto a teorema del desiderio di decadenza sperimentato dall’uomo borghese occidentale, a vantaggio del social partorito da Zuckerberg-Montagna di saccarosio, il quale, nell’immagine del profilo, consente di presentarsi come si era quando la febbre del sabato sera la si condivideva con John Travolta.
Parimenti il Tramaglino è presentato nel suo errabondare ebbro in Brianza o da quelle parti non con un Tom Tom go in mano, ma con Google maps aperto sullo smartphone – dio mio come si parla! – al quale è attribuita la miracolosa capacità di sciogliere gli intricati intrecci dell’ostacolata tresca dell’odiatissimo romanzo scolastico di cui altro non si può dire in età adulta se non che sia scritto in punta di penna.
«Adesso Firenze è alquanto rumorosa e variopinta, la folla nelle strade è enorme».
Il mio amico Gian Luca – senza il quale non mi sarebbe così facile avere le idee chiare sul significato della parola amicizia – è un topo di biblioteca e, da buon topo di biblioteca, sa spulciare.
Così, spulciando spulciando, s’è imbattuto in materiale d’epoca di quando la biblioteca dove Gian Luca fa il roditore, assunse l’appellativo di Nazionale Centrale, avendo raccolto il lascito di Antonio Magliabechi, nucleo originario di circa da circa 30.000 titoli databile 1714, implementato con la Palatina dei Lorena, per assurgere nel 1885 appunto a Nazionale, essendo nel frattempo una frattaglia di Stati e Staterelli trasformatasi in Italia.
Materiale d’epoca su quando Firenze divenne Capitale, nel 1865, che Gian Luca ha scartabellato tirandoci fuori un curioso libretto scritto in forma di cronologia nel quale, a novembre 1868, compare quella frase virgolettata con cui inizia questo testo, che qualcuno probabilmente ha pensato fosse stata scritta oggi. (continua…)
Credo che indirettamente mi assolva la sentenza emessa dalla Corte di primo grado di Chicago nel procedimento intrapreso contro Leslie S. Klinger – avvocato, scrittore, animatore del club The Baker Street Irregulars – dalla Conan Doyle Estate, dietro la quale figurano i lontani eredi del celebre Arthur Conan Doyle a cui si deve, a partire dal 1887 con la pubblicazione di Uno studio in rosso, l’invenzione del celebre personaggio Sherlock Holmes riutilizzato 59 volte in romanzi e racconti originali.
Uno dei due miei editori, Maurizio Marinelli della Baskerville di Bologna, deve aver appreso con grande soddisfazione la notizia che si può leggere sul sito vitadadonna.com intitolato La Fine del mondo verrà, ecco quando e come nel quale si da conto di uno studio dell’astrobiologo Jack O’Malley-James, dell’ University of St Andrews in Scozia riportata dal quotidiano britannico Telegraph.
Il ricercatore anglosassone sosterrebbe dati alla mano che l’apocalisse prossima ventura è annunciata per il 2000002013, anno più anno meno, vale a dire, se non sono rimbecillito,, 2 milioni di secoli, periodo di tempo nel quale Maurizio Marinelli e i suoi eredi potranno beneficiare degli introiti provenienti dalla vendita di Apocalisse, il giorno dopo. La fine del mondo fra deliri e lucidità, giunto alla milionesima ristampa riveduta e corretta, fatta salva la quota di diritti di autore che per i primi 70 anni spetta ai miei eredi, i quali comunque avranno modo così di arricchirsi.
Tornerò in Sardegna a presentare il mio libro. E lo faccio con piacere anche perché l’insistenza e la disponibilità con cui Rita Martinelli e Monica Porcedda hanno voluto va premiata. Se non fosse un premio a me, meriterebbe fosse un premio a loro.
L’appuntamento è alle 23 di venerdì 2 agosto in piazza del Nuraghe a Sant’Anna Arresi. Cinzia Crobu presenterà Io la salverò, signorina Else, mi farà tutte le domande che vorrà, inciterà il pubblico a farmi quelle che non le sono venute in mente, mi rimprovererà dovessi essere reticente, passerà il microfono a Rita Martinelli che leggerà dei brani del libro.
Quello stesso giorno alle 21,30 Barbara Cantone, Valeria Sardu, Claudia Ghisu, Francesca e Sara Vasarri della Zattera della follia – Teatro di Strada presentano “… Oggi come ieri” , spettacolo di giocoliere e trampoli, diretto da Gloria Uccheddu com nusiche e luci di Riccardo Montanaro, mentre alle 22 Monica Porcedda dirige il suo laboratorio teatrale permanente che si chiama La Cernita Teatro in ”L’ho perso? L’ho perso!”, con Chiarella Caredda, Giuseppe Cocco, Monika Joani, Marisa Marongiu, Anna Paola Massa, Salvatore Messina, Stefanina Pilloni, Susanna Piras, Deborak Scerbo Perrucci.
In giro per la città ci sono numerosi cartelloni che promuovono, credo, una agenzia interinale o qualcosa di simile, perché invitano a conoscere il cosiddetto lavoro atipico, il quale a me verrebbe di pensare che è fare l’astronauta, mestiere invero assai insolito e certo non molto diffuso, oppure il coltivatore di datteri in zona pedemontana o alpestre, ma anche l’allevatore di vipere per estrarne il veleno e produrre quindi il siero.
Chi ha letto il mio Sempre più verso Occidente forse ricorderà il racconto intitolato La pasticca verde, nel quale si descrive un lavoro invero atipico quello del redattore d’istruzioni, ancorché lo sia sempre meno perché di istruzioni, legende, guide all’uso, calepini, bugiardini, manuali, vademecum c’è sempre più bisogno anche se sempre meno spieghino cosa si debba in realtà fare e in maniera sempre meno comprensibile.
Susanna Marcomeni legge La signorina Else di Arthur Schnitzler durante la presentazione del mio libro all’Istituto di studi germanici a Roma il 26 marzo 2013.
La registrazione video della presentazione di Io la salverò, signorina Else all’Istituto degli Studi Germanici a Roma il 27 marzo scorso con Anna Lia Secchi, Fabrizio Cambi, Roberto Venuti e Susanna Marcomeni.
Ho dato conto in L’intervista di Fräulein Valentine della tesi di laurea con cui Valentina Amodeo si è laureata il 7 maggio scorso in Lingua e letteratura tedesca presso l’Università della Tuscia, sostenendo con il professor Maurizio Basili una tesi su Io la salverò, signorina Else. Ho dato anche conto, in È tornata Fräulein Else del fatto che il professor Basili, docente in quell’ateneo e anche all’Università di Cassino, è il nuovo traduttore in italiano per la casa editrice Portaparole della novella di Arthur Schnitzler pubblicata nel 1924, da cui ho preso spunto per il mio libro, attingendo alla traduzione di Giuseppe Farese.
Ora, Maurizio Basili, nel suo corso in letteratura tedesca, ha inserito in programma tanto Fräulein Else di Schnitzler quanto il mio pastiche e, in vista dell’esame, ha fatto scrivere – lui stesso la chiama così – a «una brillante studentessa», Raisa Mele una alternativa al mio tentativo di salvataggio.
Sabato 8 giugno 2013, al prestigioso Circolo dei lettori di Torino, con Mario Baudino e Tatiana Lepore. Amici di lunga data come Titta Onida e Raffaella Magnago, mio cugino Marco con Rosella, il cugino Andrea, le zie Carla e Anna, lo zio Giulio. Le foto sono della preziosa “gagna” Loredana Romero e della nipotina più bella del mondo: Feliz Recordati.
Le foto sono di Mario Greco. Con Matilde Greco, Caterina Arcangelo, Mario Greco, Erika Nicchiosini, Silvia Carlassara, Asia Rubinacci, Elisa Manetta, Victor Gi, Sergio Traversi, e altri due amici lettori di cui non ricordo il nome. C’erano anche Loredana Romero, Giovanni Trombetta e sua moglie.
Fra gli ospiti alla presentazione della mia Signorina Else all’Istituto di studi germanici a Roma il 27 marzo scorso, c’era Fiamma Satta che mi è stata presentata da Emilia Aru e il caloroso sorriso che ci siamo scambiati nel dirci solo “ciao”, “piacere” e poco altro mi è sembrato particolarmente affettuoso. Credo che l’affettuosità di un sorriso sia percepibile non solo in chi ce lo sta facendo, ma anche nelle contrazioni dei propri muscoli, nell’aggrottamento delle proprie ciglia e nell’ispessimento delle proprie rughe, ed io entrambe queste cose ho sentito: il suo sorriso e il mio.
Ascoltando – ahimè! – di rado la radio, non sapevo chi fosse fino a poche ore prima dell’incontro, ma, per non esser radiato, sapendo della sua possibile presenza, mi ero documentato e non mi sento rimproverabile per una ignoranza che ora ho, in parte, colmato. Chi non la dovesse conoscere può leggere la sua biografia qui: io non lo rimprovererò.
Daniele Pugliese, torinese, movimento studentesco in gioventù, oltre trent’anni di carriera giornalistica sulle spalle, ha all’attivo numerose pubblicazioni, da solo o con altri: una monumentale storia del Pci, un saggio sulla nascita del movimento cooperativo ed un altro sulle fortune del sigaro toscano, oltre alla curatela per conto de “l’Unità”, il giornale nel quale ha lavorato per oltre vent’anni come redattore e poi vicedirettore, di volumi sulla massoneria e sul mostro di Firenze.
Per dieci anni è stato il direttore di Toscana Notizie, l’Agenzia di informazione della Regione Toscana.