Sulla civiltà
Se ho scritto un libro che s’intitola Sempre più verso Occidente, in realtà debitore solo a una splendida storia di Primo Levi e a un immenso dolore nel cuore, ci dev’essere tuttavia una qualche mia particolare attenzione a ciò che il termine geografico, quel punto cardinale che indica la terra dove tramonta il sole, significa anche di altro.
Così è. Intorno a quel concetto ho spremuto a lungo le meningi, leggendo tutto quello che ho potuto, forse seguendo un percorso tutto mio e affatto accademico o, per così dire, scientifico.
La parola ne ha incrociate altre e non so più dire quale sia stata quella che ha dato origine a un dizionario personale, a una giungla di concetti che mi fa venire in mente Leporello quando nel Don Giovanni dice:
Mille torbidi pensieri
Mi s’aggiran per la testa;
Se mi salvo in tal tempesta,
È un prodigio in verità.
Fra le parole incontrate per via c’è ovviamente “civiltà”, perché quella “occidentale” è una civiltà, anzi per gli occidentali è “la civiltà”. Che Ernesto De Martino – e non solo lui – ci abbia insegnato a guardare al mondo con occhio meno eurocentrico, ricordando la lezione copernicana che non è il Sole a girarci intorno ma siamo noi i ballerini.
Orbene, oggi il Corriere della Sera ha ben due articoli che parlano dell’argomento. Il primo è un ricordo dello storico Arnold Toymbee, in occasione dell’uscita di un libro di Lorenzo Ornaghi, dal titolo Ascesa e declino della civiltà. Il secondo è un commento della scrittrice di origini somale Ayaan Hirsi Ali alla polemica scoppiata a New York riguardo la costruzione di una moschea a Ground Zero. La donna, al cui dramma personale e alle cui battaglie civili non ci si può non sentire vicini, è categorica: fra la civiltà islamica e quella occidentale non è possibile dialogo, solo la sopraffazione di una da parte dell’altra e lei dice chiaramente da quale parte stare.
Incivilmente nei suoi confronti, a leggere la sua storia, si sono comportati tanto l’una quanto l’altra, ma approdata nel melting pot statunitense la scrittrice sembra aver trovato la sua pace, la sua dimensione, il suo faro intellettuale. Io son più dubbioso e sempre in cerca di un “sempre più verso” o di un “oltre” verso cui traghettare e questa assoluta incomunicabilità non la leggo, se non nella misura in cui, dall’una o dall’altra parte, ci sono coloro che a quella sopraffazione pensano. Gli altri, dall’una e dall’altra parte, mi sembran più dediti, ognuno con i propri costumi dei quali ci sarebbe da ridire su entrambe le sponde, a sopravvivere e a cercar di essere ogni giorno un po’ più meglio di ieri.
Se invece ci si deve affidare ai lunghi, lunghissimi cicli della storia a cui fa riferimento Toynbee, credo che allora ci voglia un po’ di fatalismo ed accettare di buon grado che se qualcuno ha fatto il suo corso, vuol dir che così è andata ed è giunto il momento. Ma noi, ricordiamocelo, stiamo nella terra del tramonto, dove cala il sole.
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