Vento e tempesta
Sull’inserto domenicale del Sole 24 Ore di oggi viene segnalato un libro di Alfredo Bucciante pubblicato da Einaudi, che se mi dovessero avanzare 12,50 euro andrò a comprare col dubbio che i miei soldi vadano a incrementare un’evasione fiscale di casa Berlusconi: Scusa l’anticipo, ma ho trovato tutti verdi. E altri 499 luoghi comuni al contrario. Per chi non ci arrivasse la frase scimmiotta “scusa il ritardo ma ho trovato tutti rossi”.
Le perle che l’articolo cita sono: «Per me l’arabo è matematica. Del maiale si butta via tutto. È ora che Babbo Natale capisca che i bambini non esistono. La tragedia finisce in scherzo. Questo albergo non è una casa. Solo i cretini cambiano sempre idea. Il papà è sempre il papà. Ne uccide più la spada che la penna. Premetto che sono razzista. Una rondine fa primavera. Il delfino è l’animale più stupido. Stasera in tv ci sono un sacco di cose. L’arte antica non la capisco. Una parole vale più di mille immagini. Quel gruppo lo preferivo agli inizi, quando era più commerciale. C’è la crisi, c’è la crisi e poi la sera stanno tutti a casa». Bravo Bucciante.
Non so se nella sua rassegna l’autore abbia inserito che «Chi raccoglie tempesta, semina vento». Il detto è ovviamente il contrario e io sono certo che abbia assai senso. Ma proprio mentre mi accingevo a leggere quell’articolo mi son venuti in mente pensieri che hanno a che fare con lo stravolgimento di quel pensiero. Che racchiude un’altra verità.
Spesso chi è stato oggetto di odio, finisce per odiare. Le vittime possono trasformarsi in carnefici. Chi ha subito violenza o soprusi non raramente ne elargisce a sua volta. Chi ha conosciuto solitudine e assenza si prodiga nel spargerne. Il fenomeno credo sia stato ampiamente studiato.
Non è tuttavia dietro questi paraventi che ci si può nascondere. Nè possono farlo coloro i quali sono a conoscenza del passato di qualcuno di noi. Attribuire o essere attribuiti alla storia che sta alle nostre spalle serve solo a capirci, non a condannarci. Il giudizio deve attenersi a quel che si fa oggi, non a quello che si è fatto o non fatto ieri. Quello appartiene alla storia, al passato.
Qualcuno ci ha provato a puntarmi il dito per quello che ho già pagato, non avendo più niente da regolare: né debiti, né crediti. Se poi questo dovesse essere servito a calmierare il proprio oggi, ad assolversi dal proprio presente, be’, me ne consolo: il mio passato mi ha insegnato qualcosa e qualcuno puà abbeverarvisi ancora adesso.
Può risultare fastidioso esporsi al vento, bisogna però ricordarsi che esso può anche smuovere le pale d’un mulino, fornirci quell’energia con cui per secoli si è fatto il pane.
Tags: Einaudi, Il Sole 24 Ore