Piccola Schiele
Io Loredana non la ricordo. Doveva essere una “cita” quando io ero già un “gagno”: lei una bambina, io un ragazzino. Neanche la vedevo, figuria- moci guardarla.
Eppure pare ci fosse anche lei a depredare della statuetta sul cofano prima, delle frecce e di ogni altro pezzo poi, una Jaguar MK4 meravi- gliosamente bianca abbandonata davan- ti ai garage della casa dove abitavano i miei zii a Torino.
Doveva essere la fine del 1966, quando dopo l’alluvione di Firenze mio fratello ed io fummo mandati per un po’ dai parenti nella città natale per scongiurare immaginate pestilenze e semplificare la fine di un matrimonio che sarebbe giunta di lì a poco.
Secondo Loredana ci siamo conosciuti in quell’occasione e, se ne conservo memoria, è una traccia flebile, sbiadita. Lei però è ancora adesso la migliore amica di mio cugino, anzi l’Amica, e vederli abbracciarsi dopo un po’ che non si incontravano è uno di quei piaceri che ti tengono poi allegro per una settimana.
Loredana dipinge e insegna a farlo. Quando l’ho conosciuta o ri-conosciuta mi ha fatto vedere lo studio dove lavora in una specie di casa degli gnomi o delle fate o delle streghe, vicino alle vigne di uno dei vini più buoni del mondo, nella quale vive con Carmine alternando il suo essere gnomo, fata o strega. Non tutti i suoi quadri mi piacciono, ma ce ne sono alcuni che appenderei molto volentieri su una parete di casa mia, soprattutto quelli fatti con le cose. I suoi nudi mi ricordano la mano di Egon Schiele, uno di quei pittori che costellano il mio piccolo Olimpo di ignoranza in materia.
Anche a lei come a Ewa Barthelier ho chiesto l’autorizzazione a un’esposizione virtuale e il permesso mi è stato concesso.
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