Giochi di carte
«Non possiamo pensare che mentre il mondo si gioca al tavolo del poker le quote dello sviluppo, noi organizziamo un tressette tra amici con in palio una consumazione al bar». In un articolo sul Corriere della Sera di oggi, intitolato L’ideologia a tavola, di cui comprendo e apprezzo lo spirito, ma di cui non condivido il suggerimento di fondo, Dario Di Vico si avvale di questa riuscita metafora col tavolo verde, del quale purtroppo non ho dimestichezza.
La frase mi ricorda il motivo più volte ripetuto da Joseph Roth in quel capolavoro del 1938 che è Die Kapuzinergruft, da noi tradotto in La cripta dei cappuccini, e pubblicato da Adelphi: «Sopra i bicchieri dai quali spavaldamente bevevamo, la morte invisibile incrociava già le sue mani ossute».
Più prosaicamente quel genio della matita che è Altan ha espresso più volte analogo pensiero facendoci vedere la differenza fisica tra una pagliuzza e un trave e i luoghi del corpo dove essi possono essere conficcati.
Tutto ciò per dire che la contingenza in cui ci troviamo non consente grandi sorrisi. Lasciamo da parte un attimo lo sfacelo nazionale e il degrado a cui ci stiamo assuefacendo, per arginare il quale, sempre sul Corriere di oggi, il più bravo dei direttori che ho avuto a l’Unità, Walter Veltroni, tenta di mandare un segnale di cui condivido molti passaggi: «Scrivo al mio paese».
Allontaniamoci dagli angusti confini del nostro provincialismo e guardiamo lontano, appunto al tavolo dove si gioca a poker. Non sono un esperto di politica internazionale e gli esteri, la sezione di un giornale al quale mi sarebbe piaciuto moltissimo lavorare, non sono il mio forte. Per cui quando ascolto amici e persone che sono più informate di me in materia e che hanno scavato meglio nella geopolitica, le ascolto con attenzione e desiderio di apprendere.
Dinanzi ad alcune pennellate dei loro affreschi, nelle quali l’impeto delle nostre pur meritorie indignazioni assomiglia più alla bava lasciata da una lumaca che a un nobile ideale capace di sconvolgere il mondo, ogni fremito partecipazionista vien raggelato e si resta attoniti perché pur non credendo al fato ci si trova costretti a riconoscere di dover sottostare a un destino.
Bastano certi dati, certe rivelazioni ad annichilire ogni voglia di buttarsi nella mischia, di dare il proprio contributo, di tentare di invertire la tendenza. Si è così votati a un’amara inevitabile amarezza che tuttavia val la pena di essere provata. Si starà al mondo anche per nulla, ma allora è meglio starci come ci si sente.
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