Rumori molesti
Con la sua bella penna, l’amico Stefano Tesi, nel suo blog, fa un po’ come Esopo e Fedro. In un articolo intitolato Forza rana, forza cicala, forza civetta: continuate a togliere il sonno ai turisti che, come i politici, non sanno più qual è il “paese reale”, si serve degli animali per raccontar di nevrosi, sbandamenti, scollamenti della società contemporanea, quella in cui tutti noi viviamo.
Ai suoi aneddoti potrebbe aggiungersi quello che ho narrato io, riprendendolo dall’Ansa, in Il canto di Pia. Anche lì un rumore porta scompiglio. Ed è un rumore assai normale, per non dire naturale: il canto di un gallo.
Ma più che altro vorrei aggiornarlo su un’altrettanto curiosa storiella che m’è giunta all’orecchio. Riunione di condominio. I presenti si lamentano con l’amministratore per quelli diciamo del 5° piano, quale fosse in realtà non lo so. I quali, fortunatamente non c’erano all’assemblea (chissà se avevano delegato qualcuno e cosa stavano facendo nel frattempo). Sì, perché millesimi a parte, lampadine rotte per le scale, spese di pulizia delle scale, l’argomento della serata sono stati i gemiti di lei, l’ardore delle loro passioni, i decibel dell’amplesso, grida, urla, affanni, ansimamenti, preghiere, dichiarazioni e altre celestiali espressioni scaturite non propriamente in gola.
E qui gli aggettivi normale e naturale chiamati in causa dal buon Stefano potrebbero aprire un dibattito di quelli sterminati, dal quale sarebbe difficile poi uscire. La questione era ovviamente come metter la sordina agli amanti, coniugati o meno che fossero. O comunque come ridurre il loro piacere. O almeno come renderlo compatibile con la trasmissione televisiva in onda a quell’ora, il frullar della lavatrice, la spazzatrice stradale e lo sciacquone di quelli accanto.
Non so come l’amato amministratore condominiale che mi ha rivelato l’episodio, omettendo indirizzo, numero civico, finanche quartiere e città dov’è avvenuto l’episodio per non dire dei nomi dei due condomini, abbia risolto la questione, ma son certo che abbia avuto il garbo di trovar una scappatoia che mettesse tutti d’accordo.
Mi son ovviamente chiesto se quelli, come il canto del gallo o il nifrir delle cicale, possano essere definiti rumori molesti e ancor peggio quanto disturbino la quiete e quanto questa sia pubblica al di là d’un muro, oltre a una tapparella o venti scalini più sotto. E mi son anche chiesto se uno non debba ritirarsi su un monte per lasciarsi finalmente andare. Avendo ovviamente cura di verificare che nei dintorni non ci sia una marmotta: non avesse a incazzarsi.
Io non mi lamento. Dalle mie finestre giunge chiaro e forte ogni singolo cambio di marcia direi di almeno un centinaio di veicoli al minuto in ognuna delle due direzioni e con un po’ di melatonina riesco a prender sonno tranquillamente. Appena mi addormento sogno un bosco e il vento che soffia tra i rami. Quando mi sveglio al mattino tornano le auto a farmi compagnia.
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Chissà, magari i gitanti infastiditi da rane e grilli sono gli stessi che, a casa, allietano in condomini con i loro rantoli amorosi. Una sorta di erotico contrappasso o di soave vendetta divina. Sempre ammesso che il risentimento dei dirimpettai non sia, alla fine, tutta e solo invidia…
Grazie per la “bella penna”. A buon rendere!
Ciao, Stefano.
Propendo per la seconda ipotesi: se non sopporti un canto, non ne sopporti nessuno.