A tu per tu con lo scrittore
Alcuni giorni fa, il 12 settembre per l’esattezza, il Corriere della Sera ha pubblicato un articolo molto interessante di Alessandro Piperno intitolato Scrittori? meglio non conoscerli (di Persona). L’autore scandaglia il voyeurismo dei lettori, il narcisismo e la riservatezza o il pudore degli autori, la distanza fra la vita di chi scrive e ciò che finisce sulle sue pagine, portando illustri supporti alla comprensione dell’argomento: Proust, Leopardi, Kundera, Rousseau, Nabokov, Salinger.
Benché abbia pubblicato un libro di racconti e altri ne abbia scritti, non mi piace definirmi scrittore. Ho campato finora d’altro: sempre lavoro di penna, è vero, ma un conto è fare il giornalista, altro essere un letterato.
Quella che, per passione o affinità mentale, reputo grande letteratura è prevalentemente poco autobiografica, ma in questo genere, che pur esiste in larga misura nello sterminato scaffale della libreria umana, vi sono opere eccezionali che, benché parlino in prima persona, guardano assai poco al proprio ombellico. Non credo siano molti gli scrittori che si sono messi alla scrivania cacciando fuori dalla stanza se stessi. Un conto è mettere delle distanze, un altro dissociarsi. Certo raccontare che ci si è alzati, si è fatto pipì, si è preso il caffè e così via fino all’ora in cui ci corica ha poco a che vedere con quello che solitamente intendiamo con letteratura, anche se si potrebbe scrivere un capolavoro sminuzzando ogni minuto d’ogni ora d’una sola giornata e c’è chi sicuramente l’ha fatto.
Certamente credo che un fossato almeno ci debba essere tra la pagina scritta e quella vissuta: se non altro una libreria di mezzo, un pezzetto di carta, una penna. E anche qualche centimetro tra chi sta in copertina e chi la copertina la tiene in mano. È giusto non conoscere di persona gli scrittori? In assoluto è un’idiozia. Ne ho conosciuti e li ho apprezzati come persone per quello che avevano da dire o per le bistecche o le aringhe che si sono mangiati. Abbiamo anche parlato dei loro libri, ma loro nei libri erano e sono altro. C’era un di qua e un al di là e purtroppo in almeno un paio di casi quell’al di là è davvero un aldilà e la mancanza è forte. Della persona e di quello che ancora avrebbe potuto scrivere.
Non sto qui a chiedermi se il lettore debba tenersi alla larga dallo scrittore, ma viceversa. E semmai quanta debba essere questa distanza. Quanto sia possibile che uno che ha voglia di scrivere possa farlo senza vedere chi gli sta intorno, senza ascoltarlo, senza innescare delle conversazioni che stimolino qualcosa e alle quali non si può partecipare senza portare del proprio.
Certo i disvelamenti, le facili psicodecostruzioni o ricostruzioni servono a poco: se non vedi James Bond guardando Flemming, sei tu il cieco, non lui il millantatore. Né mi piace, anche se ne comprendo il fine, che Piperno metta sullo stesso piano Maradona e, che so io, Dostoevskij. Come non mi piace che si chieda a chi ha fatto goal in una partita che esprima anche concetti da filosofo o da politico: il loro mestiere è marcare. Mi accontenterei che imparassero un po’ d’italiano quel tanto che basta per dire e magari l’inno di Mameli, son poche strofe, in fondo.
L’altra questione, se le vite aiutino a capire i libri e/o viceversa i libri le vite… direi di sì, ma in un altro senso. È evidente che Thomas Mann è anche il figlio di ricchi commercianti svizzeri e che c’è un nesso fra questo fatto e la Zauberberg, la montagna incantata o più esattamente magica, come ora verrà giustamente tradotta. Dissociare l’un fatto dall’altro è delirante, ma nelle due direzioni, dalle opere ai giorni e dai giorni alle opere. L’altro senso è invece quello del lettore: sì, le loro vite li aiutano a capire i libri e i libri che hanno letto a capire la loro vita. Non sempre ovviamente, ma è così.
Un’ultima cosa. Mi piace molto quando Piperno alla fine del suo articolo si ferma a considerare quanto la privacy sia in pericolo di questi tempi e per convincerci ci invita a provare a rifarci una vita. «Provate a sparire, a togliervi di mezzo. Scoprirete che di questi tempi è impossibile. Il pianeta è piccolo. Gli strumenti di “Chi l’ha visto?” sono quasi infallibili. Alla fine vi scoveranno. Addio esotismi alla Gauguin! Addio romanticismo dei conquistatori! Persino il crimine oggi reclama una certa professionalità: deve essere terribilmente complicato delinquere senza lasciare traccia. Per non dire degli adulteri. Presto i mariti gireranno con collari elettronici che impediscano loro di mentire alle mogli sulla loro reale ubicazione (tranquille, care signore, non sentiremo mai più i vostri consorti dire: “cara, perdonami, resto in ufficio fino a tardi”). Persino io, che insegno all’ università, vivo nel terrore che una mia lezione finisca su Internet. Non perché tale performance possa essere di per sé imbarazzante, né perché io creda presuntuosamente che possa suscitare l’ interesse di qualcuno. Ma solo perché è una mia lezione, nata per un contesto assai circoscritto, che vorrei che rimanesse tale, preservandolo da qualsiasi ingerenza. Che non sia questa la ragione per cui oggigiorno tutti, a cominciare dagli scrittori, ardono dal desiderio di confessarsi, di non nascondere niente? Il messaggio è forte e chiaro: non c’ è nulla che voi possiate scoprire sul mio conto che io non vi abbia già detto!».
Tags: Alessandro Piperno, Franz Kafka, Giacomo Leopardi, Jean Jacques Rousseau, Marcel Proust, Milan Kundera, Nabokov, Salinger
Sono molto contenta che quella distanza di tanto in tanto si sia accorciata!
E in merito al finale dell’articolo cito (e non per la prima volta) una frase che mi è molto rappresentativa dal testo di una canzone di Samuele Bersani
“non ti ho nascosto niente tranne tutti i miei segreti”.
Le attuali potenzialità tecnologiche avrebbero fatto scrivere a Pirandello “Uno Nessuno Centomila Un Milione” tante sono le infinite e inafferrabili sfaccettature dell’essere.
Fabiola