Qualcuno era comunista
Qualcuno era comunista. E stava dalla parte dei lavoratori. Ho pianto quando un’amata persona mi ha regalato quella canzone di Giorgio Gaber. Ho pianto a sentire «Qualcuno era comunista perché Berlinguer era una brava persona». A dirotto a sentire «Qualcuno era comunista perché pensava di poter essere vivo e felice solo se lo erano anche gli altri».
Lacrime a parte, versate e fatte versare, si è anche quel che si è stati. Se aveva ragione un amico perduto per strada a dire che non sarai mai se non sei, è anche vero che non sarai mai quello che non sei stato. E mi sa che, con tutte le distanze prese nel tempo, comunista lo sono ancora. E ancora dalla parte dei lavoratori.
In questa veste celata sotto una giacca blu, pantaloni grigi e cravatta regimental, son stato seduto più d’una volta a un tavolo sindacale. Non dalla parte dei lavoratori, dall’altra, quella dell’azienda. A difendere i lavoratori senz’altro più di quanto facesse l’azienda, ma anche di quanto facessero i sindacalisti. Mi son preso a maleparole con uno della Cgil che per difenderne uno di lavoratori ne umiliava altri dieci, insultando il loro mestiere, le loro capacità, in qualche caso anche un po’ di passione.
Ancor prima a rimetter il proprio mandato e tutti i benefit annessi e connessi per impedire che un giornale dalle nobili origini popolari si riducesse ad essere una scatola di latta dentro la quale smerciare solo un po’ di pomarola: non ricordo quale fosse il film in questione.
Poi, dopo aver regolarizzato precari e assunto giovani promettenti e anziani da rispettar con dignità e riconoscimento, ancora al tavolo della mediazione a tentar di affermare che le leggi vanno rispettate, anche quando queste si chiamano contratti di lavoro, e che se uno lavora secondo gli schemi di quella convenzione, quelle norme gli vanno applicate, quei diritti gli vanno riconosciuti, quei doveri imposti.
Verso annualmente la mia quota d’iscrizione al sindacato dei giornalisti fin da quando ho intrapreso questo mestiere e sono un po’ allibito a non aver udito una sola parola non dico di protesta, non essendoci nulla per cui protestare, ma di preoccupazione per un posto di lavoro che ogni giorno che passa sembra sempre più perduto. Né l’ibrido professionale a cui sono stato costretto operando nella pubblica amministrazione ha stimolato un accenno di indignazione nella categoria dei colletti bianchi. Ancor più allibito a sentirmi dare lezioni di dignità ed etica dal massimalismo avvolto nella bambagia.
Resta tuttavia una consolazione: d’esser quel che si è stati e di esser stati quel che si è. Qualcuno era comunista.
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