Rai: di tutto, di più

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La Rai assume, ma la mia iscrizione all’Albo dei giornalisti dal 1983 e il mio curriculum non gli piacciono. Son nato troppo tardi per entrare nel servizio pubblico radio televisivo con la tessera del Pci che per un po’ ho avuto in tasca e troppo presto per avvalermi dell’unica tessera che, oltre a quella dell’Anpi, mi è rimasta nel portafogli: quella appunto dell’Ordine dei giornalisti.

Conditio sine qua non per partecipare al concorso è di esser nati dopo il 1974 e io quell’anno avevo già deciso cos’avrei voluto fare da grande. Ti chiedono anche d’esser laureato e io questo requisito ce l’avrei, anche se ho sempre sostenuto che non sia questo quello che fa di uno un giornalista: come scriveva Karl Kraus, e l’ho già citato, è non avere un’idea e saperla esprimere il requisito fondamentale. Come scrive Gian Antonio Stella sul Corriere di oggi, se fossero vivi Biagi e la Fallaci, non gli darebbero questa opportunità e anche Giorgio Bocca è doveroso si tenga alla larga.

Rottamiamoci. Il grido è di gran moda e bisogna adeguarsi. Data la natura territoriale del concorso quello slogan andrebbe coniugato nei venti dialetti delle altrettante regioni italiane, più le lingue di confine.

Infine due parole sulla selezione. Certo, passate le lottizzazioni (ma son davvero passate?), l’evidenza pubblica e i titoli e gli esami sembrano essere indice d’imparzialità e correttezza. Ne ho fatte anch’io e in una sono ancora invischiato. Resto però del mio avviso: in questo mestiere – si scandalizzi chi vuole – si comprende chi si ha davanti, e neanche del tutto, solo strizzandogli gli ammennicoli. E sia chiaro: non è una molestia sessuale.

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