Server muto
«Safari non può aprire la pagina “http://www.facebook.com/profile.php?…” perché il server su cui si trova questa pagina non risponde». Lesse quest’annuncio ed entrò nel panico. Quale legame gli restava col mondo? Come avrebbe potuto continuare a comunicare? Chi si sarebbe accorto del permanere della sua esistenza?
Era mezz’ora che stava trafficando. Schiacciava il bottone nella barra dei preferiti su cui aveva memorizzato il social network e inesorabilmente dopo un po’ di pausa come se il computer stesse pensando riappariva la scritta: «Safari non può aprire la pagina…». Si chiese cosa volesse dire effettivamente che «il server su cui si trova questa pagina non risponde».
Cosa vuol dir non risponde? Perché non risponde? E ancora: cos’è esattamente un server su cui si trova questa pagina? Intanto ticchettava ancora, sempre più inistentemente: «Facebook», «Facebook», «Facebook». Cliccava e non accadeva niente, o meglio: «Safari non può aprire la pagina “http://www.facebook.com/profile.php?…” perché il server su cui si trova questa pagina non risponde».
Provò a scriverlo di persona: www.facebook.com. Niente. E ancora: www.facebook.com. Niente. Il server non risponde. E intanto il tempo passava. Non poteva sapere, era isolato, non poteva commentare o dire mi piace, né rispondere a quella insolita domanda: «A cosa stai pensando?».
Dimenticò in quel momento quella considerazione che lo accompagnava spesso dinanzi al tal quesito: perché le persone non rispondono alla domanda, iniziando la frase con «A…» e aggiungendo ciò a cui stanno pensando, anziché frasi che esprimono pensieri, o considerazioni, o stati d’animo.
Era ora, quella, questione di lana caprina, un accessorio, un ammennicolo, un’inezia. Che scrivessero come volevano, a lui ora importava comunicare e non essere escluso dal mondo. Questo invece gli venne in mente: che analogamente doveva sentirsi uno lasciato da una scialuppa su un’isola deserta o ivi naufragato.
Il server non risponde e tutte quelle facce d’un tratto sono scomparse e il mondo sembra non più popolato, come se una bomba ai neutroni fosse improvvisamente piombata sul globo e l’avesse annichilito tutto strappandosi ogni forma vivente.
Sentiva un groppo alla gola e quasi avrebbe voluto piangere: d’un tratto decine e decine di nomi cancellati, inghiottiti nel nulla, nessuna possibilità più di interagire. Eppure lui faceva un uso del social network prevalentemente passivo, poche incursioni in esternamenti. La timidezza glielo impediva, faceva da ostacolo. Era tuttavia un modo per sentirsi vicino, anzi, adesso che ci stava pensando e la tecnologia gli negava chiaramente questa possibilità, era l’unico modo che gli era rimasto per sentirsi appartenente a una comunità, al mondo.
Corse in bagno disperato, tolse la lametta al rasoio con cui al mattino si radeva la barba e si tagliò le vene dei polsi. Si sentì mancare e lo svenimento lo accompagnò alla fine. Quando morì tornò il collegamento. Il mondo esisteva ancora. E non solo quello.
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