Preghiera
Oh Socrate, Socrate, alla cui fonte ho cercato di abbeverarmi, forse tardivamente, o forse troppo in anticipo, mentre i coetanei fuggivano, si adornavano o saltellavano.
Oh Socrate, Socrate con quel sapere di non sapere che mi ha dannato la vita e ci credo ancora, ora che non so, eppur so, e siccome so e so di non sapere, sento chiedere, chiedere, chiedere. Domande, una dietro l’altra, alle quali rispondo, al limite con non so, che è pur sempre una risposta, epperdio se è una risposta, di mille altre più sensata, invece che quelle finte lezioni precipitate dall’alto.
Socrate, potessi, tu potessi… ora, dico ora, dire una parola, una, quella che credi. Qualcosa che suoni come sapienza, ora che sono esausto di queste domande, di questo chiedere, di questo non sapere che mi circonda, e falsamente m’induce a credere che invece il mio sia un sapere, una sapienza, una saggezza.
Una parola, Socrate, che riporti questi sapientoni e le loro certezze, in un universo di domande, di incertezze, di parole da cercare, tutte, una per una. Tu potessi, Socrate, ora.
E siccome non so e so di non saperlo non saprò se saprai, se potrai, dirla questa parola. Quindi m’interrogo, mi faccio una domanda, mi chiedo e resto senza risposta, solo sapendo di non sapere.
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