Fra le amazzoni
Non è uno pseudonimo. Da quello che apprendo navigando su internet, Simon Dynys si chiama davvero così. È nata in Messico da madre italiana e padre italo-polacco, da bambina ha girato il mondo seguendo il padre che faceva l’ingegnere, poi è approdata a Firenze dove si è laureata all’Accademia delle Belle Arti di Firenze. Si è poi trasferita a Milano e quindi a Piombino. Lì insegna in una scuola media materie artistiche.
La sua presenza martedì 9 novembre, alle 19, al Cinema Odeon di Firenze, alla manifestazione organizzata nell’ambito della trentaduesima edizione del Festival internazionale del cinema delle donne dalle Florence Dragon Ladyes – un’associazione di donne operate per un cancro al seno – è più sensata e giustificata della mia.
Ha scritto un libro che si intitola Come un’Amazzone e non narra di dèi, eroi, divinità, figure mitologiche. Narra la sua storia o qualcosa costruito su di essa.
Simon Dynys, infatti, nel 2008 ha scoperto di avere un tumore al seno. Inizia così il suo racconto: «La prima volta che l’ho sentito ero al mare. Mi stavo mettendo la crema solare, ero serena. I miei figli, Jacopo e Marina, erano al corso di vela, sport che allora praticavano con passione, ed io mi dedicavo al semplice privilegio di passare qualche ora di relax sulla spiaggia in attesa del loro rientro a terra. Era il mese di luglio del 2007 e Jacopo e Marina avevano rispettivamente undici e tredici anni. Spalmandomi la crema sul decoltè avevo avvertito qualcosa di strano, un piccolo rilievo sotto pelle, ma non ci avevo fatto caso, avevo cacciato il pensiero come si allontana una mosca noiosa. E invece tornava tutti i giorni».
Il titolo che le ha dato è più che pertinente. In greco amazzone vuol dire senza mammella. Si narra che quelle guerriere se lo mutilassero per scagliar meglio le frecce dai loro archi. Ma Simon Dynys se ne serve proprio nel senso di guerriera, di combattente, di donna che non rinuncia, che si batte fino in fondo, con ogni mezzo. Il suo, insomma, è un messaggio di speranza.
Che mi fa venire in mente il racconto scritto da Maria Pieri di cui ho dato conto in Maria racconta, eccome racconta, identica malattia, solo altrove accanitasi. O la resistenza dell’amica che non c’è più alla quale ho reso omaggio il 30 luglio scorso. O al coraggio dell’altra amica di cui ho scritto in Malattie.
Torno a ripeterlo: mi sento un po’ in imbarazzo ad essere accanto a Simon Dynys, accanto nel senso di presentare anch’io il mio libro come lei presenta il suo, perché nel mio non c’è questo male, anche se ci sono donne e c’è malattia. Per niente in imbarazzo, invece, di esserle accanto, se anche la mia presenza può esser d’aiuto alla causa, un piccolo contributo, un motivo in più per essere lì quel giorno.
Dunque mi metto in secondo piano, anche in terzo e anziché promuovere Sempre più verso Occidente e altri racconti, qui invito alla lettura di Come un’amazzone. Credo che per questa ragione il mio editore mi perdonerà.
E dunque, chi vuol sapere qualcosa di più su Simon Dynys e sul suo libro dia un’occhiata qui: