Sbrisolarsi
Prescrive lei: per una teglia di 35 per 40, 375 grammi di farina bianca, 225 di farina gialla grossa e fine, 300 di burro morbido, 150 di zucchero semolato, 60/70 grammi di uvetta tenuta in acqua tiepida, 3 tuorli, un pizzico di sale-vaniglia.
Lei è Barbara Zattoni, chef di Pane e vino, che, scusate la rima, è un ottimo ristorante fiorentino. Spiega Barbara: «La qualità delle farine è primaria, a voi la scelta, io uso per la gialla quella che prendo a Montemignaio e a Cetica… ma comunque avrete le vostre “fonti”. Si impastano gli ingredienti tutti insieme, meno l’uvetta che strizzerete e aggiungerete quasi alla fine. Non va lavorato molto, deve rimanere una consistenza non troppo omogenea, ruvida e granellosa e nello stesso modo va stesa nella teglia imburrata e infarinata. Spianatela con il palmo della mano ad uno spessore di circa 1+1/2 cm e infornate per 25 minuti a 160°».
Io neanche mi cimento. Sarebbe catastrofico, ne son certo. Perché ciò che vien fuori da quella ricetta è la sbrisolona, o sbrisiolona, ma anche sbrisulona, sbrisolina, sbrisulusa o sbrisulada, e in Veneto rosegotta, cioè tanto per capirsi sbriciolona o sbriciolata. Dolce tipico del Nord Italia, è originario della città di Mantova, ed infatti spesso la si chiama sbrisolona di Mantova, la cui caratteristica inconfondibile è la friabilità che la porta inevitabilmente a sbriciolarsi al primo tocco. La ricetta risale a prima del ‘600 quando pare arrivò anche alla corte dei Gonzaga. Qualcuno, a differenza di Barbara, la fa con parti uguali di farina gialla, bianca e zucchero e perciò un tempo era detta anche “torta delle tre tazze”.
La sbrisolona è stato uno dei primi piatti che ho consumato alla fine degli anni Settanta da Pane e vino, quando il locale era in uno scantinato del quartiere di Gavinana e ci si andava a passar le serate tra compagni per bere del buon vino. Di soldi in tasca ce n’eran pochi e bastava un fermino per lo stomaco, l’importante era star lì in compagnia.
Poi quel locale è cresciuto nella capacità di accompagnar al sempre miglior vino, che io nel frattempo bevevo sempre meno, altro che pane!, squisitezze di vario tipo e natura!, tanto che quando mi inventai con Andrea Lazzeri e Gabriele Capelli il settimanale di passatempi vari distribuito gratuitamente con l’Unità che si chiamava Anteprima, da cui, esportato a Bologna, avrebbero mosso i primi passi, per merito di Andrea Guermandi, Patrizio Roversi e Syusy Blady, dopo pochi aprii una rubrica di ricette e ci feci appunto scrivere quelli di Pane e Vino, il mitico Alessi che oggi ha La pentola dell’oro e quel mago del pesce che era Sante Collesano, all’epoca proprietario della Capannina sull’Arno.
Dopo molto tempo che non ci andavo, son stato recentemente invitato dalla Betty e dalla Baby, in compagnia di quell’altro chef pazzo che è mio fratello Davide, a cena da Pane e vino, e alla fine d’un ottimo pasto ho riordinato la sbrisolona. Consumati vari amarcord con Barbara, Gilberto e Ubaldo e ripresi gli antichi contatti, è venuto fuori che un brano del mio racconto Amore in buca ha un debito nei confronti di quel locale e dei suoi osti. Gliel’ho segnalato e Barbara l’ha pubblicato nel suo blog col titolo La farina gialla… e affinità elettive, dedicandomi appunto la ricetta della sbrisolona, divenuta nel frattempo «quasi un “linguaggio”».
Tags: Andrea Guermandi, Davide Pugliese, Elisabetta Taiti, Fabiana Conti, Gabriele Capelli, Pane e vino, Patrizio Roversi, Syusy Blady
Grande Daniele, ho letto con divertimento e soddisfazione……le bricioline della sbrisolona……fanno ritrovare la strada di tante cose….
E bravi Barbara e Daniele, è piacevole ritrovarsi fra le righe di un racconto o le briciole della sbrisolona….