Ascoltando Sepùlveda

Luis Sepùlveda

Ieri sono stato alla libreria Feltrinelli a sentire Luis Sepùlveda che presentava con Pino Cacucci Ritratto di gruppo con assenza. Uno dei suoi interventi l’ha dedicato a ricordare quando da giovane bazzicava redazioni di giornali fumose e odoranti di caffè e whisky, dove le macchine da scrivere partorivano vere e proprie sinfonie e quegli appassionati si chiedevano tanti perché. Ed era sconsolato a pensare ai giovani di oggi, a quei giovani che entrano in quel tritacarne insulso dell’informazione dove non s’informa più perché non si va più a cercare, non ci si interroga, non si studia, non si va a caccia.

Se non è ancora morta questa professione, sta certamente rantolando, più che ci penso e più ne sono convinto e son pronto a dire cose ciniche al riguardo che spazzerebbero via anche quello che ho costruito negli ultimi anni, dando ragione a quel dissacrante ante litteram che era il Karl Kraus de Gli ultimi giorni dell’umanità.

Ma questo cinismo dovrebbe spingersi più in là e far piazza pulita di molti altri luoghi comuni che costellano le nostre teste e su cui dondoliamo le nostre esistenze. Ho visto, nei giorni scorsi, un filmato che parlava del ‘68 e gli anni che gli sono succeduti, di come si fosse allora convinti che la scuola avrebbe potuto cambiare il mondo. E in effetti ha potuto, ma non nel senso che in realtà avremmo voluto. O forse, semplicemente, non avevamo previsto tutto quello che avrebbe comportato.

Va be’, mi fermo. Non è salutare spargere al vento la propria amarezza.

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