La politica ritrovata
Daniele Pugliese
La politica ritrovata
Proposte per evitare la sconfitta totale a partire da un libro di Marco Revelli
Indice
Dedica
In esergo
Introduzione
Prefazione
III. L’ingombrante presenza di Dio
VII. Fini e mezzi
VIII. Corsi e ricorsi
IX. Il fantasma dell’Apocalisse
XII. La fine della Storia
XIII. Nei meandri della globalizzazione
XV. Ritorno a Hobbes
XVI. Leggi, diritti, giustizia
XVII. Consigli per gli acquisti
XVIII. La politica degli impolitici
Appendice
Bibliografia
A Pietro,
che in attesa di giocare a scacchi,
ascoltando Uri Caine,
gioiva anche nel veder scrivere queste pagine
Lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudine,
[...] chi non rischia e cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce.
[...] chi evita una passione, chi preferisce il nero su bianco e i puntini sulle “i”
[...] chi non capovolge il tavolo,
[...] chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai consigli sensati.
[...] chi non viaggia, chi non legge, chi non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso
[...] chi non si lascia aiutare
[...] chi passa i giorni a lamentarsi
[...] chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non fa domande [...]
Pablo Neruda
Introduzione
Questo libro è stato scritto nei primi tre mesi del 2004. Poi è rimasto lì, come tante altre cose, in un cassetto della scrivania, salvo essere finito fra le mani di qualche amico. È stato scritto d’impulso appena finito di leggere un appassionato e solido pamphlet di Marco Revelli, La politica perduta, pubblicato poco prima da Einaudi.
Nel novembre del 2002 Firenze si riempì di gente che manifestava per la pace in Iraq e ovunque altrove. La città, e non solo Firenze, si tinse delle strisce arcobaleno – rosso, arancione, giallo, verde, azzurro, blu, viola – della bandiera della pace, l’unica dietro la quale è ancora pensabile di stare dopo le tragedie della nostra storia. Ce ne sono ancora, più o meno stinte, in giro per le nostre bellissime città e un grazie va a chi ve le tiene.
Una fiumana di gente a quel Social Forum europeo voluto dai militanti delle mille associazioni pacifiste che stavano rialzando la testa dopo decenni di buio della politica militante, quella fatta dalle persone, quella sentita in cuori palpitanti e pieni di speranze. Davvero una fiumana, mai visti tanti tutti insieme così, se non forse ai funerali di Enrico Berlinguer nel giugno del 1984.
Quell’esplosione di indignazione, di presa di coscienza, di ribellione al silenzio, di rifiuto delle decisioni prese sulla testa di tutti, e, soprattutto, di indisponibilità alle guerre, alle violenze, ai soprusi, alle umiliazioni, alla morte, hanno fatto sognare e riprendere corpo all’idea che sia possibile mutare il corso delle cose con il nostro semplice contributo, con la nostra partecipazione, con il nostro impegno, la nostra passione e la nostra intelligenza. All’idea che sia possibile un mondo diverso, non diametralmente opposto o avulso da quello che conosciamo, ma migliore, meno insensato, meno subìto.
In quel clima Marco Revelli, docente di Scienza della politica, all’Università degli Studi del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro”, deve aver maturato l’idea di scrivere quel suo felice libro che, come spiegherò meglio nel corso delle mie pagine, va ben oltre l’emozione occasionale del momento in cui è stato pubblicato.
Certo, le sue riflessioni, e di conseguenza le mie, possono risultare datate e superate dagli eventi, da cambiamenti – anche di grande rilievo – avvenuti nel mondo in questo arco di tempo, nei cinque anni che ci separano da quel 2004.
In particolare, è d’obbligo rilevare, alla casa Bianca non c’è più Bush – su cui ci si sofferma non occasionalmente in queste pagine – né – altro personaggio non trattato di sfuggita – a San Pietro siede più Karol Wojtyla.
Barak Obama e Joseph Ratzinger hanno preso il loro posto e, per motivi diversi, questo fa una grande differenza, davvero consistente. Ma l’impianto del libro di Revelli e, conseguentemente, le mie riflessioni, mi pare che prescindano da questa contestualità storica, cercando di afferrare i parametri basilari della politica, non questa o quella strategia.
Tuttavia questo libro è datato, e rinuncio a chiedere a un editore di mandarlo in libreria, perché questa sarebbe la risposta che mi darebbe, anche se vi aggiungessi un paio di capitoli dedicati ai mutamenti introdotti dal nuovo presidente americano e dal nuovo pontefice. Perciò, ho deciso di mettere a disposizione il libretto a chi ne fosse interessato, pubblicandolo on line nel mio blog. Salvo qualche rara correzione nel testo, lascio immutato l’impianto dei venti capitoli.
Mi sembra doveroso lasciare la prefazione che avevo scritto nel 2004 a queste mie pagine: spiega perché, personalmente, mi sono cimentato in quest’impresa. Testimonianza documentale di carattere autobiografico, me ne rendo conto, ma come avrà modo di constatare il lettore, qui si sostiene appunto che in politica bisogna rimetterci in gioco il personale. Senza persone, niente politica: no persons, no party. O, come aveva scritto dal carcere Antonio Gramsci a suo figlio Delio:
Carissimo Delio,
mi sento un po’ stanco e non posso scriverti molto. Tu scrivimi sempre e di tutto ciò che ti interessa nella scuola. Io penso che la storia ti piace, come piaceva a me quando avevo la tua età, perché riguarda gli uomini viventi e tutto ciò che riguarda gli uomini, quanti più uomini è possibile, tutti gli uomini del mondo in quanto si uniscono tra loro in società e lavorano e lottano e migliorano sé stessi non può non piacerti più di ogni altra cosa. Ma è così?
Ti abbraccio
Antonio Gramsci
Un ringraziamento va a mio padre, perché ha fatto le pulci a questo testo e perché in definitiva mi ha insegnato, insieme a mia madre e poi a tutti quelli che sono venuti dopo, a farmi piacere più di ogni altra cosa «tutto ciò che riguarda gli uomini, quanti più uomini è possibile, tutti gli uomini del mondo in quanto si uniscono tra loro in società e lavorano e lottano e migliorano sé stessi».
Ma è così?
Novembre 2010
Prefazione
Per quanto mi riguarda, la politica l’avevo smarrita con il crollo del muro di Berlino. Meglio, con il Pci che, dopo quell’evento, decide di cambiare nome. Più esattamente: con le aspre polemiche e le lacerazioni che hanno seguito quel battesimo ripetuto. E neanche questo è esattamente vero. Sia il prima che il dopo sono diversi. Disorientamento anche prima, convinzioni e convivenze anche dopo. Ma in quel frangente ho preso posizione. Sul «balconcino congressuale», rubrica dedicata da Cuore, settimanale satirico de l’Unità, a entusiasti, esclusi, reclusi, schivi, smarriti, ho scritto il 5 febbraio 1990: «È mai possibile che ci si scaldi tanto per fare quello che da molti anni avremmo voluto ma non avevamo mai avuto il coraggio di fare? Il comunismo è una condizione dell’anima. Il resto ha un altro nome». Da allora mi sono chiuso in un mutismo che neanche l’etichetta addosso di giornalista del quotidiano fondato da Antonio Gramsci ha potuto scalfire. Da quel silenzio sono uscito da non molto, ma è solo leggendo il libro di Marco Revelli che ho sentito di dover dire, di nuovo, la mia. La propongo a chi ne fosse interessato.
Dicembre 2003 – marzo 2004
Voglio ringraziare, testimoniare, scrivere, parlare,emozionare. Bisognosa di ritovare briciole di pane sulla strada, felice che si sia rotto un silenzio e, spero, a domino, se ne rompano molti altri. Mi piace questa cosa, moltissimo e ringrazio nuovamente Daniele per offrire un’opportunità di lettura e bellezza……..
Finalmente!!!!!!!!!!!!!!
Ho aperto…e trovato quello che stavo aspettando.
Leggerò con attenzione e cercherò di seguirti in questo goccia a goccia.
Fabiola