Con gli studenti, con i poliziotti
Nel 1978 o 1979, se non ricordo male, da poco cronista e direi ancora con l’eskimo addosso, fui mandato a seguire un’assemblea organizzata da Autonomia operaia alla casa dello studente di viale Morgagni a Firenze. A quell’età e con quell’abito avrei forse potuto passare inosservato, anche se erano in molti, dall’altra parte a conoscermi. E bisognava passare inosservati, perché il
nemico numero uno era proprio il Pci, il suo quotidiano l’Unità, e i giornalisti che vi lavoravano.
Un collega idiota che è ancora in circolazione – all’epoca lavorava a La Città –, ebbe la bella idea di additarmi in pubblico come “il cronista dell’Unità” ed ebbi fortuna a riuscire ad allontanarmi dall’assemblea solo con un po’ di sputi e spintoni. Ma non è di questo che volevo scrivere.
Quel ricordo m’è tornato alla mente vedendo i filmati degli scontri che ci sono stati oggi in varie Università italiane: avrei voluto essere al Polo di Novoli per vedere e raccontare di persona, come farebbe un bravo cronista.
È molto tempo che ho dismesso il taccuino. Sono finito dietro a una scrivania, dietro quella scrivania su cui si affastellano tutti i taccuini di tutti i cronisti, oltre a quello che conservi nel cervello o in qualche altro organo più emotivo.
Vedendo le immagini degli scontri di oggi m’è tornato anche alla mente quello che scrisse Pier Paolo Pasolini dopo gli scontri di Valle Giulia a Roma, una delle tante cose che ce lo hanno reso così enigmatico, per certi versi vicino, per altri lontano, in questa seconda parte sbagliando.
Da che parte stare? Da quella degli studenti o da quella dei poliziotti? O da entrambe, che sarebbe più logico, se non fosse che poi c’è chi gli ordini li dà e d’altro canto chi non imparerà mai a trattenere il fiato, due, tre volte, prima di alzare anche solo un braccio.
Penso alla mia amica studentessa che non sa a chi chiedere cos’è meglio che studi, alla mia amica ricercatrice che deve anche provvedere a far funzionare il computer, al mio amico professore che ammette quanto sia duro comprendere dei ragazzi tirati su a playstation e videofonino, ai miei docenti che non ci sono più. Ai sogni che ci unirebbero e che possiamo fare solo di notte, dormendo.
Tags: Pier Paolo Pasolini
non so se c’entra molto con quello che hai scritto, ma anch’io ricordo gli anni ‘70, bellissimi, inizialmente senza dubbi per me, che a 14 anni stavo con Allende pensando però che la sua via non fosse praticabile, che portavo l’eskimo e la sciarpa di seta bianca del nonno o quella cashmere del babbo, che in tasca tenevo Lotta Continua o il Manifesto, meglio il primo, in modo che si vedesse bene la testata, ma che leggevo Pasolini e ne ammiravo il dubbio che mi instillava: per provare a capire forse bisognava restare dentro la nostra storia per andare oltre