La filosofia ai giardinetti
Commenta svegliatasi col verso girato e (più d’) un pensiero filosofico frullante in testa la Rita il post intitolato Punti deboli. Invito a leggerlo. Anche perché son certo che avrà più share delle parole da cui prende spunto: lo squilibrio numerico fra la classe operaia e gli intellettuali è sempre stato sbilanciato dalla parte dei primi, perché bisogna essere in tanti per far star bene pochi. Come darle torto, al netto di un comprensibile eccesso di livore? Pone alcune domande la Rita, e visto che le scrive a me anche se sono rivolte a Geova o a chi potrebbe prendersi quel posto che noi gli attribuiamo, tento di risponderle.
Presumo, ammesso sia esattamente così, che lo Stato regali il 36% di una cifra tot per restaurare una casa al fine di far circolare denaro e farlo entrare nelle tasche di chi restaura case. Forse anche per far una regalia a chi casa ce l’ha e in proprietà, e certamente con sommo beneficio di chi case ne ha più d’una e del suo harem edilizio ne fa rendita. Talvolta, ricordo a Rita, ha regalato anche il 36% o qualche altra frazione a chi casa non ce l’ha perché se la possa comprare, colmando uno svantaggio che non esclude che chi ha un reddito sopra una certa soglia debba lavorare almeno quanto chi ce l’ha invece sotto. Il primo non ha un sostegno, se l’è fatto da solo e per fortune di discendenza o d’altro, il secondo espone il proprio 730.
Ma la faccenda può esser vista come concessione di benefici e iniquità o, di contro, come equilibrio di disequità. Dipende dai casi.
Mi stupisce la domanda perché ci si abitui a star meglio e perché star peggio faccia schifo. È una tautologia: meglio meglio e peggio peggio. Ovvio e naturale provarlo o notarlo, e anche che ognuno avverta il suo, e che se ti vien la pelle d’oca vuol dire che tu, non uno che è davanti al caminetto o in golf di cachemire, stai provando freddo: l’altro avverte sulla propria pelle un certo tepore. La pelle è pelle ma non è sempre la stessa, o, come dire, ognuno ha la sua, e là dove finisce e inizia quella d’un altro non sei già più tu.
Cosa diversa è avere gli occhi per vedere, o le orecchie per sentire, o il cuore per provare o il cervello per riflettere e dirsi nel caldo del proprio tepore, o nel brivido del proprio gelo, quell’altro sta tremando, quell’altro sta provando piacere, buon per lui. Qui sì, mi pare, pochi lo fanno, dall’una e dall’altra parte, ed una è più grave dell’altra: quella di chi ha.
Di qui la risposta all’altro interrogativo: certo che no, certo che chi è sempre stato peggio non se lo merita. Nessuno merita niente, né il bene né il male, né il meglio né il peggio. Nessuno dovrebbe poter dispensare tali mercanzie. Per me la parola merito ha a che fare solo con quello che uno ci mette di suo.
Non so chi, da destra o da sinistra che sia, abbia affermato che è da stupidi accontentarsi dei 1.200. Siccome ci leggo qualcosa che ha a che fare con lo stipendio dei giornalisti (l’ispirazione per un articolo, la tessera in tasca) dico solo che esistono dei tariffari, frutto di mediazioni sindacali, di potere della propria categoria legato anche all’utilità sociale del proprio mestiere e che quelli vanno applicati, senza svendere, a discapito anche degli altri appartenenti alla categoria, il valore della propria forza lavoro.
La questione della pensione. Uguale per tutti. E sia. Tozzo di pane, sigaro toscano, pannolone al popolo, indistintamente, il bisogno è solo quello ed è quello che la collettività deve soddisfare, non la crociera nei Caraibi o una squillo d’alto bordo. Varianti possibili del paniere della contingenza. In discussione, ormai, non è tanto l’ammontare del meritato riposo, ma la possibilità di giungere a quella méta. Non è così per tutti. Ci sono lavori che durano una vita, altri che sì interrompono, per i motivi più disparati, dalla salute al mercato, e nessuno te li rende. Non solo: se passati i 64 vitto e alloggio sono uguali per tutti, nei 64 precedenti la ritenuta sia identica per tutti. Oppure a trattenuta da brioches brioches, a trattenuta da sfilatino sfilatino.
Poi Rita giunge al cuore della questione di cui trattavo: la politica interessa Cipputi col suo ombrellino ben sistemato? Si va in piazza per la pancia o per l’amigdala o perché ce l’aveva detto Marx scrivendo in una birreria di Bruxelles o Gramsci in un carcere della Puglia? Quel che ho tentato di sostenere con La politica ritrovata è che ognuno trovi il suo motivo per esserci – la pagliuzza, il trave, il monito interiore o il buon proposito, finanche la fede ho convenuto –, ma ci sia, o, almeno, provi ad esserci.
Perché a casa a far pulizie o a dimenticar di non averne per portar i figli al cinema forse è proprio quel che vuole chi invece se li sta godendo. Tutto qui. con tutto il rispetto per il borsellino pieno di ragnatele.
Son con i piedi per aria, cara Rita? Mi spiace. Finora l’ho fatto pagando le tasse, contribuendo al Pil, mettendo la scheda nell’urna, scambiando mestiere per stipendio: son questi i doveri ai quali si è chiamati per stare nel consesso e lì dire che si hanno i propri diritti.
Tags: La politica ritrovata
Il tuo ultimo paragrafo calza perfettamente anche a me, come a tanti altri, ma il risultato non cambia e penso che le percentuali pancia/amigdala possano essere abbastanza vicine.
Non so resistere alle tentazioni ma men che meno alle provocazioni e tali mi son sembrate le tue parole in Punti deboli e forse in modo positivo volevano esserlo.
Ricordo le 2 o 3 stagioni in cui furono pubblicati i bandi per l’assegnazione di circa 20.000 euro di contributo per acquisto prima casa da parte delle giovani coppie, avevo quasi tutti i requisiti e per un pelo non ci rientrai, mi tennero fuori la data di nascita considerevolmente anteriore, la singletudine e il numero di scarpa calzato.
Termino qua che si è rotta la caldaia e fa un freddo boia, spero di poter risolvere domani, ma intanto unica soluzione è andar sotto le coperte.
Ma, tanto per provare a rilanciare, quanti sanno cosa sono i GAP ?
Sempre che Bruno (che di certo lo sa) non sciolga l’enigma, aspetto risposta.