Ascoltando Uri Caine

Uri Caine

Quale beneficio han tratto le mie orecchie – e il mio cuore, le mie sinapsi, forse, chissà!, la mia anima, qualche membrana che alberga fra i timpani, la carotide, il pericardio  e l’epitelio – nell’ascoltare, ancora una volta dal vivo, quel genio della musica che è Uri Caine, del quale mi considero un estimatore fin dagli esordi, o almeno dalla sua apparizione in Italia, per merito di una recensione su l’Unità dell’amico Giordano Montecchi, un Frank Zappa colto e raffinato che condivideva con me e Andreone (Guermandi) pranzi sotto la volta stereofonica di Piazza Maggiore.

Credo che della sua produzione mi sfugga poco e quel poco per me è troppo, perché non c’è centimetro di partitura o d’improvvisazione che io conosca eseguita da lui che non smuova in me lo stupore per la capacità di smembrare i suoni e ricomporli e per quella strada giunger fin là in fondo dove appunto chi vi crede sospetta vi sia un’anima anziché un gorgoglio di liquidi e secrezioni.

Questa sera, in uno di quei gioiellini architettonici che sono i tanti teatri disseminati anche nel più piccolo paese –ognuno il suo come le campane e i campanili – a Figline Valdarno, l’ho ascoltato ridarci da solista quattro brani tratti dal suo repertorio passato – direi il Lamento di Desdemona di Verdi e il Rondò alla turca di Mozart e Blackbird dall’album Solitaire, poi non so, magari conoscessi tutti i titoli e le melodie a memoria – prima di eseguire, insieme a 14 violini, 4 viole e un violoncello dell’Orchestra regionale della Toscana diretta da Carlo Tenan, le Variazioni su un tema di Händel di Brahms.

L’Orchestra regionale della Toscana – di cui, come altrove ho avuto occasione di scrivere, presidente è ora il mio ex datore di lavoro – prima di accogliere sul palco il grande Uri Caine, ha suonato la Simple Symphony di Benjamin Britten, con quel delizioso pizzicato di violini, ed è curioso che il libretto di sala riportasse notizie storiche su queste e neanche una riga, se non il titolo in programma, delle Variazioni, che pur, invece, rivelano qualche curiosità, ancorché non così succulenta come quelle che circondano le Variazioni Diabelli di Beethoven, anch’esse mirabilmente eseguite da Caine, e delle quali ho dato qualche ragguaglio nel post Di luce riflessa.

Uri come sempre generoso, come quando in concerto con Paolo Fresu, dedicò un brano a Pietro – «a great friend of mine who past away» – con cui avevo condiviso anche questa passione. Ha regalato un paio di bei bis. Ma soprattutto quel delicato garbo con cui sempre saluto il suo pubblico e i musicisti che suonano con lui.

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