Alzheimer nazista

È una soddisfazione particolare – aggiuntiva alle altre – quella di presentare venerdì prossimo, 11 febbraio alle 17.30, il mio libro alla Biblioteca delle Oblate in via dell’Oriuolo a Firenze nell’ambito della prestigiosa rassegna che da anni organizza Anna Benedetti. Una soddisfazione particolare per il titolo della manifestazione: Leggere per non dimenticare.

“Per non dimenticare” è un monito che ha preso corpo non solo per rendere omaggio alle vittime dell’Olocausto, ma per impedire che, come si è variamente tentato e ancora qualcuno vi prova, quell’orrore sia negato, confinato in un passato troppo lontano, rimosso e, perciò, replicabile. L’assillo di Primo Levi, che inquietava i suoi sonni e lo lasciava sgomento, era quello di non essere creduto, quello di portare una testimonianza che addirittura i più cari trovassero inattendibile. C’è più di una pagina in cui ce lo dice. E dunque no, no: testimoniare, raccontare, dire, scrivere, appuntare, perché appunto non si dimentichi, non ci si scordi, non si cancelli.

Da allora, da Auschwitz intendo, di tempo ne è passato e in molti di noi che quelle letture abbiamo fatto o che a quei problemi abbiamo prestato attenzione, la necessità del memento, del ricordo, il bisogno di non sottrarsi a quell’esercizio della mente e della memoria, l’obbligo di restar desti e vigili, di cogliere le sfumature, i presentimenti, di interpretare i presagi – un carro bestiame diretto verso Nord da cui giungono grida disumane non giustifica la “banalità del male”, non la discolpa, non la sottrae alla responsabilità –, non solo non hanno cessato di farsi sentire ma hanno esteso il loro campo, hanno abbracciato di più e maggiormente, hanno scovato le nicchie entro cui osservare. Sappiamo che sono molte le cose che si devono ricordare, anzi che sono tutte, che non ci si può dimenticare di niente e che farlo sarebbe un reato. Ci ricordiamo di ricordare. Anche quando siamo distratti, correggendo di lì a poco il tiro.

Abbiamo anche imparato a servirci di questa memoria non per serbare rancore, non per attizzare l’odio antico, il ferino. Consapevolezza l’abbiamo chiamata.

Sappiamo anche, però, che la memoria ha le sue regole. Che la si può coltivare come faceva Giovanni Pico della Mirandola e i tanti “mnemotecnici” di cui Paolo Rossi Monti ci ha lungamente spiegato. Ma anche che non si fa imbrigliare così facilmente: per certi versi agisce in proprio, va a pescare dove più le pare secondo dettami che sembrano affidati più a un aminoacido che non a un indice degli scritti.

Sappiamo che leggiamo per non dimenticare ma che non leggiamo tutto per non dimenticare e che molto di quello che è stato scritto lo abbiamo dimenticato, relegato fra le cose minori, talvolta insignificanti. Sappiamo di malattie che ci aggrediscono lì, nella regione del ricordo, che sciolgono i nostri nodi al fazzoletto o fanno a brandelli i foglietti di carta che spargiamo per tutta la casa. Sappiamo che ci sono sostanze che bruciano quelle parti del cervello preposte a questo e anche un bacio, il più bel bacio del mondo, allora finisce nel nulla, dimenticato.

Una potenza oscura, impietosa, nazista mi vien da definirla, agisce sopra e nelle nostre teste. Ma ora mi sono scordato che nome abbia.

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