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Sono in pochi a saperlo. Ho scritto un libro che si intitola La politica ritrovata. L’ho scritto fra il dicembre e il marzo del 2004, quando qualche brivido correva nelle vene di mia moglie e di me. Bandiere arcobaleno, lutti, angeli custodi, un po’ di jazz. Il sottotitolo del libro dice: «Proposte per evitare la sconfitta totale a partire da un libro di Marco Revelli».
Nella prefazione scrivevo: «Per quanto mi riguarda, la politica l’avevo smarrita con il crollo del muro di Berlino. Meglio, con il Pci che, dopo quell’evento, decide di cambiare nome. Più esattamente: con le aspre polemiche e le lacerazioni che hanno seguito quel battesimo ripetuto. E neanche questo è esattamente vero. Sia il prima che il dopo sono diversi. Disorientamento anche prima, convinzioni e convivenze anche dopo. Ma in quel frangente ho preso posizione. Sul “balconcino congressuale”, rubrica dedicata da Cuore, settimanale satirico de l’Unità, a entusiasti, esclusi, reclusi, schivi, smarriti, ho scritto il 5 febbraio 1990: “È mai possibile che ci si scaldi tanto per fare quello che da molti anni avremmo voluto ma non avevamo mai avuto il coraggio di fare? Il comunismo è una condizione dell’anima. Il resto ha un altro nome”. Da allora mi sono chiuso in un mutismo che neanche l’etichetta addosso di giornalista del quotidiano fondato da Antonio Gramsci ha potuto scalfire. Da quel silenzio sono uscito da non molto, ma è solo leggendo il libro di Marco Revelli che ho sentito di dover dire, di nuovo, la mia. La propongo a chi ne fosse interessato».
L’ho riletto e fatto leggere di recente a qualche amico, e benché sia un po’ datato – al posto di Obama e Ratzinger c’erano allora Bush e Wojtyla – sta in piedi, perché si misura più con la filosofia politica che con la politica, ma appunto, cercando proposte per evitare la sconfitta totale. L’ho mandato tramite un amico a Alberto Asor Rosa che quando fa l’intellettuale mi piace molto, molto meno quando fa il barricadero, ma non ho avuto risposta; e mi ripromettevo di spedirlo, appena corretto, a Marco Revelli, che insegna all’Università dove suo padre Nuto ci ha liberati dall’invasore, in Piemonte.
Ne parlo ora perché il vicepresidente del Senato, Vannino Chiti, si è reso disponibile a presentare i miei racconti Sempre più verso Occidente alla libreria Lo Spazio di via dell’Ospizio a Pistoia, il 22 aprile prossimo alle 18. Conosco Vannino da tanti anni, direi da quando, nel 1976, mise in piedi insieme a mio padre, Orazio, e con loro Badaloni, Bartolini, Barzanti, Berlinguer, Calabi, Cantelli, Franceschini, Lusvardi, Marcucci, Menduni, Niccolai, Nierensteyn, Paggi, Mario G. Rossi, Sacconi, Tassinari, Cassigoli, Innocenti, Parigi e John Alcorn una raffinatissima rivista che si chiamava Politica e Società. Allora le idee circolavano perché c’erano fogli di carta su cui fissarle, dopo averci ben riflettuto ed aver chiesto alla penna di metterle ben ordinate in fila, come un pensiero compiuto, ben digerito. Enrico Berlinguer si prese tre numeri di Rinascita, una settimana dopo l’altra, per spiegare perché riteneva si potesse e si dovesse percorrere la strada del compromesso storico.
Insomma, Vannino, secondo me è ancora uno di quei politici che ogni tanto si chiude nel suo studio, da solo, legge e pensa, e appunta su un foglio di carta qualche idea, qualche riflessione. E le altre, invece, sta ad ascoltarle, con attenzione, curiosità, modestia. Ho avuto il privilegio di lavorare al suo fianco e di mettere a sua disposizione i miei pensamenti. L’ho visto ascoltarmi serio in volto, ma capace poco dopo di un sorriso. È così che io ancora intendo la politica. E sono lieto che sia lui a presentare il mio libro nella sua Pistoia, dove pare un quarto di me trovi le sue origini, lontano nel tempo.
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