Medicina e amor di sapere
Nel 1913, il filosofo Karl Jaspers mise in luce la differenza tra due parole tedesche che vogliono dire la stessa cosa – corpo –, ma hanno due significati diversi: Körper e Leib. La prima indica quell’insieme di “oggetti” che si possono vedere in un libro di anatomia, la seconda più di un organismo, il suo essere tutt’uno con la persona, la sua consistenza di soggetto.
E allora vien da chiedersi se – quando si entra nell’ambulatorio di un medico, o ormai con maggior frequenza, di un ortopedico anziché di un geriatra, di un otorinolaringoiatra o di un osteopata –, lì si porta il Körper o il Leib? E a chi dei due, se non a quali parti di essi, quello specialista presta attenzione?
Si sono inventate le cure palliative e quasi per definizione esse non curano; i centri di terapia del dolore alleviano la sofferenza, ma spesso lasciano inalterata la patologia, evitano semmai l’insorgenza di altre causate proprio da quel “sentire” male; si prescrive un farmaco insostituibile per salvare la vita di un uomo e molto spesso se ne devono affiancare altri che leniscano gli effetti collaterali quasi certamente prodotti dal primo o proteggano nella salvaguardia di un organo gli altri che dal rimedio vengono sollecitati. E ancora: si affida sempre di più all’esame di laboratorio la valutazione dello stato patologico del paziente anche laddove le analisi e immagini variamente colte – con radiazioni, ritorni di eco o ri-sonanze – non dicono cosa quell’individuo effettivamente provi e perché avverta tanto disagio o sofferenza. Ma l’esame della pelle, del tono dei muscoli, del rantolo in un respiro, la palpazione sono sempre più rari.
D’altra parte si prendono in considerazione i deliri, o le paure, le ansie, le compulsioni e queste son narrate il più delle volte, mica hanno sempre un segno sulla superficie del corpo. Ma ogni qual volta si riapre la discussione sull’opportunità che si guardi la persona come un tutt’uno, una totalità che non inizia e finisce al bordo di un pancreas o di un rene dove effettivamente si è scatenata l’anomalia, il patologico, e il resto che van dicendo le teorie olistiche, il confronto scade nella contumelia e le aule universitarie lasciano il posto ai campi da boxe o alle osterie di fuori porta.
Si barcamena tra questi estremi la medicina contemporanea, in parte giustamente convinta di aver raggiunto lo status di scienza, confortata dall’apporto di sperimentalismi che han dato vita ai protocolli e di una epidemiologia che, sulla carta almeno, conteggia successi ed insuccessi, frequenze e dislocazioni. Ed ha ragione a pretendere l’assimilazione alla fisica, alla chimica e a ciò che è sperimentabile e ripetibile in laboratorio, dato anche l’apporto che queste scienze danno a quello che un tempo erano garibaldini tentativi o ripetizioni di antico buon senso.
Ma proprio per queste ragioni sembra opportuno che queste discipline – che hanno fatto mirabili progressi e debellato spauracchi e soprattutto morte –, facciano i conti con i paradigmi sui quali, da quando nel Seicento fu inventata la scienza moderna, si continua a valutare la credibilità del nostro sapere.
Si rivela per questo importante la pubblicazione di un volume che associa due “amori”: quello per il sapere che va sotto il nome di “filo-sofia”, e quello per la salute dell’essere umano – per il suo star bene, più che per il suo svincolarsi dalla “malattia” – che è la medicina. La quale, più che una scienza è, come in parte si è accennato, un insieme di scienze (o di scienze “applicate”), di specializzazioni e parcellizzazioni le quali assorbono fra il sessanta e il settanta per cento dei bilanci di quel pezzo di Stato a cui è stata affidata la cura e il benessere delle persone: le Regioni.
Il volume di cui si parla è Filosofia della medicina pubblicato da Carocci Editore che, sotto la guida di Alessandro Pagnini, docente di filosofia contemporanea all’Università di Firenze, mette insieme i contributi di un gruppo di autorevoli, ma anche giovani, studiosi «per affrontare i problemi filosofici della medicina», intesa, come «“una scienza applicata o una somma di scienze applicate” che si occupa della salute del singolo malato o di una popolazione umana, e che, al fine di conseguire al meglio lo scopo, cerca, nell’osservazione sistematica, nel metodo sperimentale e nelle conoscenze di base che ne sono la linfa vitale, di accrescere il proprio livello di scientificità».
Tentativo che cerca anche «di dar conto degli aspetti più problematici di tale accezione, con l’auspicio di farsi leggere soprattutto da non filosofi». Tant’è che a scriverlo son stati chiamati sì filosofi della scienza, della morale, del diritto, della mente, ma anche psicologi, scienziati umani psicologi e, ovviamente, medici.
Si parte allora con i “Prolegomeni a una medicina come scienza” per giungere alle “Generalizzazioni scientifiche e i trial clinici” passando per le “Forme di ragionamento e valutazione delle ipotesi nelle scienze mediche”; e ancora si parla del passaggio “dal gioco d’azzardo alla medicina clinica” o del ruolo dell’“errore”. Delle specificità del disturbo mentale e della deontologia del medico, fino a temi caldi ed attuali che hanno spesso monopolizzato le cronache dei giornali: la negligenza, l’imprudenza, l’imperizia, il consenso informato, il danno risarcibile, l’uccidere e il lasciar morire, i conflitti morali e la bioetica.
Dunque, accanto alle tante risposte che la medicina ha dimostrato, e ogni giorno di più dimostra, di saper dare e a quelle che inevitabilmente i medici, ponendosi evidentemente delle domande, quotidianamente si danno per azzeccare la diagnosi e la terapia giusta, per adattare la tecnica acquisita allo specifico che sta nelle loro mani o di fronte ai loro occhi, ecco qualche altro interrogativo meritevole di farsi, non per restare inerti dinanzi a un dubbio o a un’incertezza, ma neanche per trincerarsi sempre dietro a validissime convinzioni che talvolta però odorano di dogma. Dubbi e incertezze, invece, che sono la base proprio della scienza, la sua voglia di sapere, il suo amore di sapere, la sua filo-sofia.
Un contributo, insomma, a star meglio, curando ed essendo curati. Intanto questo ci tocca a tutti.