A margine un’idea
Qualcuno – se avesse una dimensione dovrei usare l’aggettivo molti – mi ha chiesto un perché di questa prolungata assenza dal blog. In privato ho risposto spiegando che si tratta di un fatto privato e pertanto qui non lo riporto. Essendo questa una dimensione pubblica, comunque mi scuso col pubblico, anzi con ogni singolo personalmente, anzi con lui o lei che sia, il lettore.
Fra le ragioni del silenzio ve n’è una, tuttavia, che può esser resa nota. Sto ingegnandomi intorno a un libro e mi dà il suo da fare, ma non, purtroppo, un reddito. Non a leggerlo, anche e più d’uno, ma a scriverlo. A margine di questo lavoro per ora non retribuito, m’è venuta in mente un’idea che butto lì per chi avesse voglia, tempo e competenze di accingersi con essa e sceverarla fino all’ultima riga.
Si potrebbero prendere i diari tenuti da grandi navigatori, esploratori, pionieri, prestando attenzione a quelle parti che narrano l’incontro con altri popoli, esseri nuovi, sconosciuti, diversi, vedendo l’impressione che questi hanno prodotto nella mente di chi s’è spinto lontano per mare, per terra, o salendo pendii scoscesi. Ma andrebbero benissimo anche le scorribande altrove di Joseph Conrad, André Malraux, Hermann Hesse, Rudjard Kipling o dello stesso stanziale Salgari.
E poi i romanzi che narrano di chi è emigrato, non importa in che luogo e in quale epoca, per esempio Amerika di Kafka o, non ricordo più il titolo e ho qualche dubbio sull’autore, quel libro a me pare di Tahar Ben Jelloun che racconta dei primi tempi a Parigi di un nordafricano.
Joseph Roth e Elias Canetti potrebbero guidarci in una selva di convivenze fra popoli diversi in quel crogiolo che è stato chiamato Mitteleuropa e sono certo che a qualcuno verranno in mente altri titoli che ci dicano del melting pot in America o della confusione tra Palestina e Israele.
Tutto questo per raccontarci di qualcosa che ancora bene non comprendiamo e forse non è stato ancora ben descritto, a come ci si sente dentro dinanzi a usanze, costumi, abitudini che sono diverse dalle nostre, all’effetto che produce la differenza, a quel misto di curiosità e spavento, fascino e diffidenza con cui si accoglie o si è contigui all’altro, l’altro. E non intendo come gli altri vedono noi, ma come noi vediamo gli altri. C’è qualcuno che si fa avanti?
Mi scuso ancora con il lettore per queste fugaci apparizioni.
Tags: Andrè Malraux, Emilio Salgari, Franz Kafka, Hermann Hesse, Joseph Conrad, Rudjard Kipling, Tahar Ben Jelloun