Dire del moloch
Scrive Franz Kafka ne Il processo (la versione che ho è quella tradotta da Primo Levi nel 1983 per Einaudi): «Restare sempre quieti, anche se a controcuore! Cercare di capacitarsi che questo grosso organismo giuridico è in certo modo condannato a uno stato di provvisorietà permanente, e che se uno si prende l’iniziativa di cambiarvi qualcosa in un determinato luogo, non fa che scavarsi la terra sotto i piedi e può finire col cadere, mentre il grosso organismo (poiché tutto si tiene) trova compenso altrove alla piccola perturbazione e rimane inalterato: quand’anche, cosa probabile, non ne esca ancora più chiuso, più vigile, più severo e più malvagio. Si lasci fare quindi all’avvocato, invece di disturbarlo. I rimproveri servono a poco, specie se non si riesce a farne comprendere i motivi in tutta la loro importanza, ma bisognava pur dire quanto danno aveva arrecato K. Alla sua causa col suo comportamento nei confronti del segretario capo».
Ho molti pudori a riprodurre questo brano in una stagione – ormai molto lunga, a riprova di certi mutamenti climatici –, in cui il tentativo, di più la riuscita, di screditare la macchina giudiziaria, vale a dire l’accertamento di responsabilità e colpevolezze, è assai in voga, ma chi abbia anche solo un briciolo di cervello e un po’ di onestà sparsa in qua e in là nel proprio corpo, comprenderà facilmente che le amare constatazioni dello scrittore boemo possono tranquillamente essere estese dal campo specifico al quale si riferiscono al più generale funzionamento della nostra società.
Quel moloch di cui Kafka ci parla, il «grosso organismo … condannato a uno stato di provvisorietà permanente», capace di assorbire e metabolizzare ogni intemperie, quei battiti d’ala a cui di tanto in tanto qualcuno s’abbandona, è sempre di più un’entità spettrale ma non per questo meno incombente e reale, che spinge a far sentire il singolo una marionetta o un burattino, agitato da ogni dove e impossibilitato a resistere, privato di quella libertà d’azione che già nel Rinascimento era stata messa a fuoco da qualche lungimirante.
La sensazione è che il gioco – e l’uso di questa necessaria parola è quasi più inquietante del significato a cui vuole alludere – sia più grande di noi e prenda le sembianze del destino, lasciando solo rassegnazione e sconcerto. Chi prende l’iniziativa si scava la terra sotto i piedi. E dunque mai mettersi contro, neanche sollevare un dubbio, supporre che qualcosa possa essere in un’altra maniera oltre quella in cui è.
Ho riportato quella frase non tanto o non solo per testimoniare di un illustre antesignano che ha magistralmente descritto una sensazione ancora percepibile, quanto per chiedermi se sia salutare o meno, anche servendosi del paradosso e dell’allucinazione come in qualche maniera sembra fare Kafka, dire le cose come stanno, senza tanti infingimenti e consolazioni, se sia morale o meno guardare negli occhi l’assurdo e prendere atto di quello che è scomodo a sapersi. Se insomma non si possa dire che è pressoché da terroristi e destabilizzatori essere spietati e disillusi. Non ho risposta, ma appunto il pensiero in pubblico perché magari suscita anche in altri una riflessione.
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“E dunque mai mettersi contro, neanche sollevare un dubbio, supporre che qualcosa possa essere in un’altra maniera oltre quella in cui è.”
Manca, a mio avviso, il punto interrogativo che ne fa una domanda per una presa di coscienza.
Domanda a cui mi sento di rispondere: SI…si, si, ancora e ancora si…mille volte SI, mettersi contro.
Una domanda la cui risposta mi piace pensare si possa dentro una poesia che ha postato (credo ieri) Giulia Geminiani su fb.
I giusti
Un uomo che coltiva il suo giardino, come voleva Voltaire.
Chi è contento che sulla terra esista la musica.
Chi scopre con piacere una etimologia.
Due impiegati che in un caffè del Sud giocano in silenzio agli scacchi.
Il ceramista che intuisce un colore e una forma.
Il tipografo che compone bene questa pagina che forse non gli piace.
Una donna e un uomo che leggono le terzine finali di un certo canto.
Chi accarezza un animale addormentato.
Chi giustifica o vuole giustificare un male che gli hanno fatto.
Chi è contento che sulla terra ci sia Stevenson.
Chi preferisce che abbiano ragione gli altri.
Tali persone, che si ignorano, stanno salvando il mondo.
Jorge Luis Borges
Grazie per la condivisione.
ops: si possa “trovare”