Ricordi bolognesi (amarcord?)

Roberto Roversi

Lucio Dalla

Negli anni in cui sono stato a Bologna a dirigere l’Unità vedevo spesso Lucio Dalla nei pressi di via Farini. La redazione era ancora lì accanto, in via Barberia, sede storica del Pci, prima che venisse venduta e la perdita non è solo affettiva. A differenza di Francesco Guccini ed altri artisti che di quella città hanno fatto qualcosa di speciale, non mi sembra che Dalla sia mai venuto a trovarci in redazione: io non ne ho ricordo, almeno.

I miei occhi erano emozionati inizialmente, perché vedevo quei personaggi celebri – e anche intellettuali e politici di spessore – lì. tranquilli, serafici, a loro agio o, come dire, a casa loro, con quelli intorno a loro che lì sentivano far parte del paesaggio, niente di eccezionale, i volti che incontri tradizionalmente. Ricordo perciò come in qualche maniera ho dovuto forzare qualche collega a rendersi conto di tale eccezione che per loro bolognesi era scontata, ma per me che venivo da fuori, e quindi per i lettori che non abitavano lì, non lo era affatto. Un giorno chiesi un pezzo per raccontare come in un’area di un chilometro quadrato, nella quale peraltro avevo trovato casa anch’io, vivessero o si dessero appuntamento una dozzina almeno dei politici di maggior spicco (qualcuno purtroppo ancora) della scena italiana, a cominciare non tanto da Romano Prodi che stava muovendo i passi che poi lo avrebbero portato a diventare l’anti-Berlusconi, quanto, piuttosto, da Beniamino Andreatta, così taciturno e serioso quando lo vedevo passare di fronte al portone del mio appartamento.

In questo “zoo” di vip sottotono io vedevo anche alcuni illustrissimi sconosciuti a un passo dall’essere degli homeless, personaggi che avevano avuto dieci minuti di celebrità magari cantando allo Zecchino d’oro o girando con una Harley Davidson o avendo incitato la rivolta del ‘77 e dei quali ho cercato (riuscendoci) di raccontare la storia su quelle due belle pagine nazionali de l’Unità che dirigeva Fernanda Alvaro, dalle quali si poteva capire l’Italia (e a volte anche il mondo), molto meglio che da dozzine e dozzine di editoriali o analisi sociologiche.

Lucio Dalla lo ricordo come uno che guardava. Forse più di altri aveva un che di infastidito nel suo sguardo, ma ne ho un netto ricordo di uno che osserva, non si fa scappare niente. È solo un’impressione, ma per me conta, non m’importa se sia vera e corrisponda alla realtà.

Avevamo però invece rapporti stretti, che io ho cercato di consolidare ed estendere chiedendogli di essere il nostro commentatore, con il suo primo paroliere: Roberto Roversi. Il poeta di via dei poeti è una figura che non dimenticherò mai. Abbiamo avuto cordialissimi contatti, andavo spesso a trovarlo nella sua libreria e ascoltavo con attenzione le sue opinioni, i suoi stati d’animo, convinto che mi aiutassero e mi facessero capire e, quindi, semmai mi aiutassero a spiegare o a far spiegare dai cronisti. Mi piacerebbe molto incontrarlo ancora, anche se so che non sta bene e riceve poco volentieri.

Andrea Guermandi è stato il collega che maggiormente razzolava con più dimestichezza in quest’aia e stamattina l’ho pregato di scrivere qualcosa su Dalla, perché di ricordi non può non averne e la sua penna è sempre gradevole da leggere anche se i giornali se lo sono dimenticato. Ma dovrei ricordare anche Mauro Curati, Vanni Masala e Valter Guagneli per la loro attenzione a questa fauna e Claudio Visani in fatto di politici.

Ancora una cosa su Dalla. Ci sono tre o quattro canzoni sue che hanno come denominatore comune il futuro. Un po’ incerto, sì, ma speranzoso. Per me sono state importanti in gioventù e forse per tutta la mia generazione.

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