La parola unità

«Bisogna battersi risolutamente ogni volta che si parla contro l’unità». Quando ancora giovane ho cominciato ad interessarmi di politica, questa frase che sembra pronunciata da un pacato e riflessivo Enrico Berlinguer e invece è stata detta da un agitato e rivoluzionario Ernesto Che Guevara, mi guidava come un monito al quale non potersi sottrarre a costo di ogni patimento. Perciò aderii a quel movimento degli studenti medi che martellava quasi ossessivamente di voler essere unitario e di massa, oltre che organizzato e non spontaneista.

Oggi rileggo quella frase e penso alla risata sguaiata del candidato che ha vinto alle primarie del centro sinistra a Palermo, come se avesse battuto alle elezioni politiche il fantoccio della feccia reazionaria che da quando scoppiò il caso della P2 o da quando il terremoto in Irpinia fece esplodere la questione morale ci ammorba e rende sempre più incerto, o almeno più iniquo, il futuro dinanzi a noi.

Unità, dunque? Ma quale unità? Fra chi? E per cosa? Queste continue spaccature, su un nome non su un progetto, mio malgrado mi allontanano da quel monito del Che: battersi risolutamente per cosa? Per piccole lobby con i loro piccoli interessi? Per antipatie personali? Per narcisismi parossistici? Per congreghe e conventicole?

Non sappiamo se vogliamo garantire lavoro a tutti i cittadini italiani. Se vogliamo un minimo irrinunciabile di servizi per la collettività. Se riteniamo giusto essere membri di lobby segrete che favoriscono i propri accoliti. Se vogliamo far pesare nelle scelte di uno Stato laico i legittimi ma privati dettati delle rispettive fedi. Se pensiamo che le leggi di mercato siano davvero leggi naturali o divine e soprattutto capaci di regolare le relazioni tra gli individui. Non sappiamo tutto questo e cerchiamo di stare insieme, uniti. A qual fine? A qual scopo?

Non parlerò, dunque, contro l’unità, attenendomi a quel monito. Ma da questa falsa unità mi distacco, mi dissocio. Mi chiudo nel mio particolare, nel mio specifico, e sento che lì c’è un senso del generale più forte, più solido di quello sbandierato solo il giorno prima delle elezioni. Peccato.

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