Numeri astratti
Ho letto recentemente con gran piacere Racconti matematici, una raccolta di brevi storie da Borges a Calvino, da Asimov a Buzzati, da Mc Ewan a Lem, da Huxley a Queneau, da Saramago a Musil, curata da Claudio Bartocci per Einaudi. Che la letteratura fosse in debito nei confronti della matematica mi era chiaro anche prima. Che nel magico alfabeto dei numeri si nascondano arcani dai quali se ne possono trarre splendide suggestioni e che la conoscenza delle cifre, fosse meno relegata a un ostico modo di insegnare quella disciplina, ci aiuterebbe immensamente a comprendere meglio il mondo, anche. E altrettanto che la nostra astinenza di scienza sia deleteria.
Benché facessi fatica e mi fosse difficile entrare in quel mondo di equazioni, frazioni, ordinate, ascisse, coseni e tangenti, vi ho sempre guardato con fascino e stima, pensando di essere io l’idiota che non riusciva a calarsi in quei segreti, non qualcuno che, evidentemente, non riusciva a trasportarmi lì. Ero peraltro persuaso dalla convinzione che dietro alla costruzione di un oggetto, al funzionamento di un marchingegno anche abbastanza rudimentale come potrebbe essere una lampadina elettrica, non un sofisticatissimo computer, ci fossero degli uno, dei sette, dei fratto qualcosa, degli alla enne.
Lo stesso mondo che non mi piaceva tanto e avrei voluto cambiare sperando fosse migliore e più gradevole per tutti, senza percentuali, tassi, indici, esponenti, e per quanto uno si sforzasse di essere veridico e comprensibile, mi sembrava indescrivibile senza le radici quadre, gli insieme, i frattali.
Eppure il significato astratto, vale a dire il concetto contenuto, in un numero mi è sempre risultato estraneo a meno che non lo vedessi scritto. Perché se io ora scrivo 9, così è concreto, ma se lo pensassi solo, sarebbe per me evanescente. Invidiavo quei bottegai che in un battibaleno facevano i conti riportando sette e sette che riportavo e alla fine il risultato non era quello che mi aspettavo e ancor oggi mi si potrebbe tranquillamente fregare così, ed anche per questo mi tengo alla larga da quelle attività, come il vendere, o il vendersi, dove se ti distrai un istante sei fottuto.
Io i numeri voglio vederli stampati, impressi, marcati, solo così riesco a percepirli, mentre invece riesco a fantasticare di un tramonto o dell’espressione su un volto o della ruvidezza di un oggetto o addirittura di un brano musicale addirittura chiudendo gli occhi. Carenze mie, può darsi, o limiti della scuola, ma è inutile recriminare dopo così tanto tempo.
Anche la parola eudaimonia o certificazione sono concetti astratti e non importa che li veda impressi perché mi significhino, ma 1.200.000 diventa troppo facilmente 12.000 e non è la stessa cosa, affatto, anzi può esserci molta differenza.
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