Il Tolstoj di Campegine

Mi hanno segnalato questa storia raccontata da Marco Buttafuoco su l’Unità del 15 marzo 2010. Mi sembra davvero che meriti di essere letta, per come è scritta e più che altro per quest’uomo che non può non affascinare. Lunga vita a Riccardo Bertani e alla sua curiosità da Campegine.

Ritratto di Lev Nikolaevič Tolstoj di I'ja Efimovic Repin

Il contadino amante di Tolstoj

che studia gli idiomi delle steppe

di Marco Buttafuoco

l’Unità, 15 marzo 2010

Ogni, notte un uomo che ha oggi ottant’anni si alza alle tre e resta seduto ad una scrivania fino alle nove della mattina. Studia e scrive di lingue remote, elabora dizionari di sconosciuti idiomi delle steppe siberiane, racconta fiabe e tradizioni della campagna reggiana come delle grandi pianure asiatiche, traduce poemi epici di sperdute popolazioni nomadi dell’Asia centrale, redige saggi di glottologia comparata e di medicina naturale. Terminato questo lavoro, Riccardo Bertani esce dalla sua casa di Caprara, nel comune di Campegine, fra Parma e Reggio Emilia, dove vive da solo dopo la morte della madre, e attende al suo pezzo di terra, al suo allevamento di capre.

«Ufficialmente sarei un contadino, ma ho sempre sognato troppo per esserlo veramente. Ho sempre e solo prodotto quel tanto che mi bastava per vivere e per poter acquistare i libri. Già da ragazzo la mia mente vagava troppo lontano. Sognavo la Russia e le sue pianure sconfinate e leggevo tutti i libri russi a portata di mano. Così in qualche giorno di caligine, mi sembrava di scorgere verso il cupo nord le carovane dei deportati in Siberia, della cui epopea avevo letto nei romanzi di Dostojevskj. In certe giornate di vento mi sembrava di essere fra le bande dei ribelli di Pugaciov, raccontate da Puskin. La mia era una famiglia di comunisti (il padre Albino, fu nominato sindaco dal CLN, i Cervi erano amici di famiglia) e la biblioteca della sezione del Pci, di Campegine era piena di opere di letteratura russa. Ben presto lessi tutto quello che si poteva leggere sul quel grande paese. Così un giorno decisi di acquistare una grammatica ed un dizionario. In poche settimane ero in grado di leggere tranquillamente il russo». Il suo sogno di paesi e culture lontane è rimasto vivo. Le lingue conosciute sono diventate però più di cento. Tutte quelle slave, moltissimi idiomi siberiani, ma anche l’etrusco, il longobardo, il basco, l’esquimese, il mongolo. Studiate, comparate, scavate con la competenza e la passione del glottologo. con un linguaggio semplice ma rigoroso: «Sono andato a scuola e sono arrivato con facilità alla licenza elementare. Ma mi fermai, non solo perché non era facile per un figlio di contadini continuare a studiare: trovavo la scuola limitata. Avevo orizzonti vasti, fin da allora e le lezioni non potevano calmare quella fame di sapere che sentivo dentro. Non mi sono mai pentito della mia scelta: Tolstoj non riuscì mai a laurearsi. Divenni ben presto, per gli altri, un tipo strano. Oltretutto non avevo nemmeno mai fatto parte del Pci. Ero un isolato, né contadino né intellettuale, né comunista né anticomunista. Credevo fermamente nella libertà e nell’individuo. Mi consideravano un anarchico. Ero, e sono ancora, un tolstojano». La bibliografia di Bertani disseminata fra quotidiani, riviste specializzate, libri ed opuscoli è sconfinata nella varietà di argomenti che affronta, tanto da attirare l’attenzione di molte università. L’anziano agricoltore ha tenuto lezioni all’Ateneo di Firenze, è in corrispondenza con la Reale Accademia di Svezia, oltre che con tanti singoli studiosi. Fra i tanti con cui ha discusso basterà ricordare Claude Levy Strauss, con il quale ha parlato, in una corrispondenza privata, di mitologia germanica. «Ora molti si sono accorti di me. Il Comune di Campegine ha trasformato la mia casa, da me tanto trascurata, da bolgia di libri e carte in una sezione della Biblioteca civica. Ma rifiuto di essere considerato un fenomeno da baraccone. In tanti mi vogliono dipingere così. Sono un uomo che cerca. Cerco quello che c’è di unificante nella storia degli uomini. Le correnti sotterranee che sgorgano da remote comuni sorgenti. Lo scienza non riesce a spiegare questi fenomeni. Tanto meno l’economicismo marxista. Ora sono alle prese con lo sciamanesimo. Che non è il fenomeno da new age che si vuol far credere. Ad esempio ci sono, in una popolazione della Siberia, gli Jukaghiri, concezioni del mondo sconvolgenti, che ignorano completamente il concetto di morte. Quello che accade, secondo quelle visioni sciamaniche, è un flusso continuo di forze ed eventi che mutano in continuazione e rendono vana qualsiasi distinzione fra morte e vita, fra essere e non essere. Per me, abituato nonostante tutto agli schemi occidentali, questo pensiero è stato terribilmente difficile da comprendere. Questo studio mi ha gettato in uno stato di prostrazione, per il quale mi sto curando con antiche ricette a base di erbe, sempre siberiane…». La sua ultima opera pubblicata è un dizionario italiano-rutulo, una lingua parlata oggi da una piccola comunità del Daghestan, nel Caucaso. Una lingua, si noti, che non ha una sua scrittura. Oltre al dizionario Bertani propone anche una comparazione fra il rutulo ed il basco, lingua di origini incerte che molti studiosi sospettano provenire proprio dal lontano Caucaso. L’inedito studio del glottologo di Campegine sembra portare nuove motivazioni a questa tesi. Di Rutuli si parla anche nell’Eneide e Bertani suppone che l’antica popolazione fosse imparentata con gli etruschi. Altro popolo di cui Bertani conosce lingua e cultura: i ceceni. OLTRE LO STRETTO DI BERING «Le lingue sono organismi viventi e mutano e si incrociano, si ibridano. Ci sono tracce di strutture linguistiche siberiane in molti idiomi dell’America pre-colombiana. Frutto di migrazioni cronologicamente imprecisate, passate forse attraverso lo stretto di Bering. Quei popoli portarono spesso con loro un orgoglio ancestrale che li spinse a perire come stirpe piuttosto che fondersi con gli invasori bianchi. Lo stesso orgoglio che anima il nazionalismo basco come quello ceceno. Altri popoli hanno seguito altre strade…». Bertani non ha mai lasciato Campegine. Solo qualche raro viaggio in Italia, per qualche lezione, o intervista. Se gli si chiede perché risponde: «Ho paura di restare deluso. Per fare un esempio: la mia conoscenza dei Rutuli è prima di tutto poetica, sognata. Ho cercato le tracce della loro storia dimenticata. Cosa potrebbe darmi oggi la conoscenza dei loro attuali insediamenti di pastori transumanti? Resto qui. A coltivare il mio ideale di semplicità che ho imparato da Tolstoj».

Tags: ,

Leave a Reply