Lettori depravati

Dario Longo e Paolo Albani

Qualche sera fa sono stato all’inaugurazione a Prato di una mostra di Dario Longo. È molto tempo che mi riprometto, senza averlo ancora fatto, di inserire le opere di Dario Longo in quella collezione privata virtuale qui riunita che raccoglie i lavori di Ewa Bathelier, Loredana Romero, Gianfranco Dini, Andrea Ruggeri e nella quale vorrei accludere anche i quadri di Maurizio Marinelli e le fotografie della mia adorata nipotina Felicita Recordati, di Gianni Pasquini o quelle di Silvia Amodio. Tuttavia ho scritto di lui fin dalla mostra intitolata Appunti di viaggio che tenne nell’aprile del 2010 (vedi qui) quando l’ho scoperto e potuto apprezzare, e poi in occasione della presentazione (vedi qui) dei miei racconti Sempre più verso Occidente a Pistoia nello Spazio di via dell’Ospizio, dove Dario allestì un’opera ispirata a Amore in buca.

Ma non è di Dario che qui voglio parlare, bensì di chi a Prato ha esposto o si è esibito con lui in questo evento che si intitola La poesia, però, è un’altra cosa e si può vedere da Asterisco in via Banchelli 63 a Prato fino a fine mese. Alcune cose Dario infatti le fa con Paolo Albani, il cui nome per me è legato ad alcune surreali ma erudite opere, serissime per quanto canzonatorie, che Albani ha fatto con Berlinghiero Buonarroti, tra cui Aga Magéra Difùra, il Dizionario delle lingue immaginarie (Bologna, Zanichelli, 1994) di cui credo di aver scritto molti anni fa per l’Unità, intervistando appunto Buonarroti dalle parti delle Sieci, benché non ritrovi più l’articolo.

E nemmeno di Albani voglio parlare, bensì lasciarlo parlare, perché alla performance dell’altra sera l’artista, sorreggendo in mano un foglio forato come nella toppa di una porta, ha letto un brano che si intitola Dal buco della letteratura ed io l’ho trovato delizioso, ed avendo ottenuto l’autorizzazione a riprodurlo qui, lo offro ai miei lettori:

Lo ammetto, è una mia debolezza: mi piace guardare dal buco della letteratura.

L’ultima volta che l’ho fatto ho visto un tale sdraiato sul letto, avvolto in una vestaglia di seta, che lentamente spogliava le pagine di un’opera poetica, le accarezzava morbosamente, le toccava in ogni parte intima, eccitandosi di fronte ai sospiri, ai gridolini di piacere dei versi più audaci che quelle pagine gli regalavano. Francamente non so come ci si possa ridurre a una simile feticistica dipendenza nei confronti della poesia.

Tempo fa dal buco della letteratura mi è capitato di osservare un signore vestito di nero come un banchiere della City di Londra che si sbaciucchiava e leccava voluttuosamente gli indici di un libro di economia. Era un signore di Milano che andava matto per gli indici, indici di ogni sorta: generali, delle illustrazioni, degli autori citati, dei luoghi geografici, di borsa, del costo della vita, d’ascolto, ecc.; più dettagliati erano gli indici e più quel signore di Milano si scaldava e perdeva la testa; se poi gli indici erano analitici allora prendeva un frustino a cinque code e li percuoteva con forza gemendo come un gatto in amore; ma il massimo del godimento lo raggiungeva leccando l’Indice dei libri proibiti che si procurava da un bibliotecario compiacente e pervertito come lui.

Un’altra volta dal buco della letteratura ho visto uno scrittore piegato a angolo retto sopra una scrivania che si faceva sodomizzare da un dizionario; era una scena davvero poco edificante; li sceglieva con cura i dizionari, andava in giro a scovarli nei posti più appartati, equivoci; le sue preferenze erano per quelli bilingue e analogici, i più aitanti e viziosi che c’erano, a suo parere, sul mercato della prostituzione linguistica; gli piacevano molto anche i dizionari dei neologismi, li trovava particolarmente dotati, atletici nella loro singolarità; tuttavia la prestazione da cui riceveva l’appagamento più completo era quella dei dizionari enciclopedici che riuscivano a dargli, diceva lui, «un piacere assoluto».

Ne ho viste tante di cose strane spiando di nascosto dal buco della letteratura.

Ricordo ad esempio un rilegatore di Catania, capelli neri unti di brillantina, basette lunghe e lo sguardo da mafioso, che se la spassava a letto con due plaquette francesi, due smorfiosette dalla rilegatura indecente; più minute erano le plaquette e più lui, che era un bibliofilo sporcaccione, si divertiva e si sentiva maschio; per le plaquette ancora intonse poi era disposto a tutto, a indebitarsi e pagare cifre esagerate; sembra che per questo suo vizietto, cui non sapeva rinunciare, sia finito sul lastrico e abbia passato qualche annetto al fresco.

Un altro me lo ricordo in ginocchio davanti a un divano che sbavava dietro il corpo originale di una prima edizione; era un nanerottolo non più alto di un metro e venti che aveva un debole per le pubblicazioni di una certa età, vecchiotte, meglio se sgangherate; le giudicava irresistibili e libidinose; era questa la sua perversione: l’amore per il passato, il che non vuol dire che fosse un passatista, solo che si sentiva attratto sessualmente da una pagina sdrucita, s’infiammava vedendo un dorso avvizzito, un piegamento irregolare, una macchia, una copertina illeggibile. «Il tuo dorso maturo, flaccido, mi fa letteralmente impazzire», sussurrava il piccoletto alla prima edizione che gli stava di fronte, discinta sul divano e in atteggiamento provocatorio come solo le vecchie edizioni, che hanno alle spalle una lunga esperienza d’intrallazzi amorosi, sanno inventarsi quando vogliono.

Una certa tristezza, sbirciando dal buco della letteratura, mi fece un giovinastro dall’aria contemplativa, melanconica, sorpreso in piena esibizione di autosufficienza dato che si masturbava freneticamente davanti a una procace copia anastatica di un libro polacco, anche lei nell’atto di masturbarsi. Facevano entrambi molta tenerezza: il giovinastro, sconsolato, che si masturbava quasi controvoglia, con rabbia, come avesse voluto dimostrare a se stesso una maturità virile che gli mancava, e la copia anastatica, quattrocentoventisei pagine più l’introduzione, giunonica come certe bagasce dei bordelli dell’est europeo, che si capiva bene che si toccava da calco navigato, mestierante, simulando ripetuti orgasmi solo per soddisfare le voglie del suo amichetto occasionale.

Io penso che guardare dal buco della letteratura non è solo un fatto voyeuristico, un comportamento da degenerati, immorale; ritengo al contrario sia molto istruttivo poiché s’imparano tante cose guardando da lì, dal buco della letteratura, ad esempio, e non è poco, che la letteratura nasconde dietro la sua facciata di comodo, i suoi artifici manierati qualcosa di anormale, di vizioso.

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One Response to “Lettori depravati”

  1. fabiola scrive:

    Pur parco nelle tue parole, non avevo dubbi, non si può che restare estasiati e piacevolmente irretiti da Paolo Albani, dalla sua performance, alla quale ho avuto la fortuna di assistere, e dall’uso meraviglioso e meravigliato che fa del linguaggio.
    Ma quello che colpisce di più è la raffinata ironia senza scadimenti.

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