Idee sui bisogni
Giovedì, il 6 settembre, alle ore 17.30 alla Biblioteca delle Oblate, in via dell’Oriuolo 26 a Firenze, la rivista Testimonianze e l’associazione Politica e Società hanno organizzato un incontro nel quale verrà presentato il libro I miei occhi hanno visto, un’intervista a cura di Francesco Comina e Luca Bizzarri pubblicata dalle edizioni Il Margine, a Agnes Heller, l’allieva di György Lukács la cui notorietà è principalmente legata al successo che ebbe nel 1977 il suo libro La teoria dei bisogni in Marx.
Trovo interessante che a confrontarsi sul suo pensiero ci siano tre generazioni di esponenti del Pd: la senatrice Vittoria Franco, l’ex assessore alla cultura Simone Siliani e il vicesindaco di Firenze Dario Nardella. Cercherò di essere ad ascoltarli.
Ma intanto vorrei fare qualche considerazione scusandomi fin da subito con il mio lettore per l’eventuale approssimazione: i miei studi filosofici – in particolare quelli sui testi sacri del filosofo di Treviri – sono lontani e le mie conoscenze sul testo della Heller sono “di seconda mano” oltre che sbiadite: gli articoli di giornale dell’epoca.
Sento il bisogno di affrontare l’argomento perché nei giorni scorsi ho pubblicato un post intitolato Crescita e decrescita, riferendo di un articolo di Irene Tinagli riguardo la decrescita felice, argomento secondo me di grande attualità, nel quale l’economista contestava la distinzione fatta da Guido Ceronetti tra bisogni essenziali e bisogni non essenziali.
A mia volta avanzavo qualche perplessità sulla supposta difficoltà di fare tale distinzione e sul fatto che sia un «inquietante scenario» quello «in cui qualcuno decide cosa è essenziale per la gente e cosa non lo è».
Capire qualcosa di più e meglio sull’argomento, interpellando magari non solo i filosofi, ma anche gli etologi, i biologi, gli psicologi, male non farebbe perché con la crescente disparità di distribuzione delle ricchezze qualche appiglio concettuale ce lo dobbiamo riprendere, a meno che non si voglia affermare che lo schiavismo o la pena di morte vanno nuovamente legalizzati, e la carta fondativa dell’Onu e la Declaration sono errori di gioventù.
Aver meritoriamente abdicato dinanzi al tramonto delle ideologie non può voler dire rinunciare anche alla necessità di tentare parametri concettuali, di dotarsi di bagagli di conoscenze, di avvalersi del pensiero.
Perciò non è con dogmatismo che merita ricordare quanto poco Marx si sia avvalso della categoria del bisogno, richiamando l’attenzione altrove, ai rapporti di produzione, al capitale, al profitto, all’interesse, al salario, al valore d’uso e al valore di scambio. O quanto il libro della Heller, probabilmente suo malgrado, sia stato una sorta di “foglia di fico” esibita da quelle frange degli ultimi sprazzi dei movimenti di contestazione, per capirsi, con qualche ingiusta sintesi, quelle che predicavano l’esproprio proletario con le spalle coperte dalle pistole di Autonomia Operaia.
I “bisogni” espressi, o gridati, in quella stagione, ancor oggi, a me appaiono come fuorvianti, massimalisti ed esecrabili, sia rapportati alle condizioni sociali dell’epoca, quanto a quelle assai più drammatiche di oggi.
Questo non sminuisce, tuttavia, la necessità dell’approfondimento e mi verrebbe da dire il “bisogno” dell’approfondimento: mi pare sia un’esigenza più vitale del possedere, per esempio, un telefono più nuovo di quello che si aveva l’anno scorso.
Senza alcuna forma di fondamentalismo pauperista, ed anzi riconoscendo che sia difficile rinunciare a molti oggetti ormai a nostra disposizione, penso tuttavia che, se abbiamo aperto la strada dello sviluppo, della crescita, possiamo tenere aperta anche quella della rinuncia o della riduzione.
Un vecchio saggio che si chiamava Epicuro l’aveva già capito: i piaceri si espandono spesso contenendoli, limitandoli, dilazionandoli. Rapidi esperimenti pratici lo confermerebbero facilmente, rivelando peraltro quanto siano dolorose, invece, le compulsioni. O, per parlar più chiaro, quanto fastidiosa sia l’indigestione.
Perciò spero che un appuntamento come quello di giovedì, anche per chi è smarrito dinanzi a una politica disattenta alla pancia piena e alla pancia vuota, se non, spesso, a quella di chi la pratica, sia un’occasione per cambiar registro: le idee (e di conseguenza le proposte) ci faranno meglio dei bla bla bla. E se ne sente il “bisogno”.
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