Selfreview
Leggo sul Corriere della Sera che l’inglese Roger Jon Ellory, autore di famosi thriller, tra cui Vendetta e La voce degli angeli, divenuti veri e propri bestseller, come si dice, «se la canta e se la suona». Dopo aver mandato in libreria romanzi rimasti per mesi nelle classifiche dei più venduti, per i quali è stato premiato come miglior giallista nel 2010, provvedeva anche a recensirli, elogiarli, incensarli, scatenando il tam tam sulla rete che lo ha reso via via sempre più celebre.
«Uno degli autori contemporanei di maggior talento», ha fatto dire di se stesso a uno dei tanti pseudonimi dietro i quali ha nascosto la sua identità. Avvalendosi di un nickname ha fatto dire di uno dei suoi lavori: «È uno dei libri più commoventi che abbia mai letto». E ancora: «È scritto così bene che mi sono sentito immerso in quell’epoca, ben sapendo che non può accadere nulla di simile oggi». La recensione consigliava «vivamente» il romanzo «a chiunque voglia affrontare davvero una lettura di gran classe».
Dietro il paravento di un tal Nicodemus Jones ha stroncato l’opera di un concorrente, lo scozzese Stuart MacBride che ha mandato alle stampe Dark Blood: «È il secondo libro che leggo di questo autore, e a dire la verità non c’è niente che mi abbia infastidito di più». Il libro di Roger Jon Ellory, cioè se stesso, è invece, secondo Jelly Bean, cioè se stesso, «a modern masterpiece», un capolavoro moderno che «toglie il fiato»: «Basta comperarlo e leggerlo perché vi sentiate rigenerati nella mente e… toccati nell’anima». E via altre odi.
Il Daily Mail ha scoperto il trucco e l’ha spiattellato in prima pagina chiedendone conto allo scrittore. Il quale ha ammesso la colpa e si è scusato con i lettori. La cosa ovviamente ha destato scandalo. Ed è comprensibile, anzi condivisibile.
L’articolo di Paolo Di Stefano sul Corriere sostiene che «la promozione letteraria occulta in Rete non è una novità: di recente lo scrittore Stephen Leather ha ammesso di aver usato pseudonimi per creare un efficace passaparola sui propri libri diffondendo autorecensioni favorevoli». Ricorda il caso di Todd J. Rutheford, critico «professionista» dell’Oklaoma, che ha aperto «un servizio online in cui vende recensioni positive al modico prezzo di 99 dollari al colpo».
Proprio recentemente mi è capitato di conoscere telematicamente persone che della presentazione in pubblico di un libro pare abbiano fatto professione e la possibilità di racimolare qualcosa in questo modo è stata ventilata anche a me, che non escludo di prestarmi al gioco se non trovo di meglio con cui campare.
L’articolo del Corriere ipotizza una morale della favola: «con l’autopubblicazione (o self publishing), che promette a chiunque lo desideri (pagando) di uscire dalla condizione di inedito anche presso grandi case editrici; con l’autopromozione (o self marketing), che offre la possibilità di smuovere in proprio il potente passaparola del web; e finalmente con l’autorecensione (o meglio, in inglese, self review), il cerchio si chiude. La letteratura diventa un fenomeno di puro e-narcisismo o autismo digitale. Non ha più bisogno di niente e di nessuno: né di un editore, né di un redattore, né di un promotore, né di libraio, né di un critico. Forse nemmeno di un lettore, piuttosto di un compratore. Basta uno scrittore-fai-tutto-da-te, o meglio un ottimo internauta che sia convinto di essere uno scrittore al punto da farlo credere a tutti con la sola forza del cyberpensiero».
È vero. Ma anche la costruzione a tavolino dei bestseller non è dissimile. Sempre più spesso l’editoria punta a quello che è perché è vendibile, non a quello che è vendibile perché è. Quelle muraglie cinesi, di sfumature grigie a volte, o in dolce stil novo, o con Volo di Vespa, messe lì ad ostacolare l’accesso agli scaffali più reconditi delle librerie, sono spesso il frutto di una medesima catena autoreferenziale nella quale al singolo si sostituisce il proprietario di uno staff di ghost writer, una redazione, un ufficio pubblicità, un esperto in Pr, una tipografia, un distributore, una catena di negozi.
Io lo confesso: qualche comunicato stampa dei miei libri me lo sono scritto da solo. Come un tempo, nelle botteghe artigiane. Ma i miei editori non hanno anche una catena di supermercati. Mi dispiace per loro.
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