Telepatie su Else
Al termine della presentazione di Io la salverò, signorina Else alla libreria Feltrinelli di Firenze, mercoledì scorso, per la quale vorrei ringraziare ancora tutti gli intervenuti, gli organizzatori, l’editore, e, in maniera particolare, il professor Roberto Venuti – germanista dell’Università di Siena, che ha avuto per le mie pagine parole capaci di mettermi in imbarazzo, perché gli apprezzamenti mi fanno quest’effetto – ; insomma, al termine della serata, mi si è avvicinato, come aveva promesso, Paolo Vannini.
Paolo Vannini è un insegnante che, con Gianni Conti, anima un bel salotto letterario di Sesto Fiorentino nel quale sono invitato il 15 novembre prossimo e dove già presentai nell’aprile del 2010 (vedi qui) Sempre più verso Occidente, e di quel mio primo libro è stato, con la sua recensione uscita su Il Ponte, uno dei più acuti critici. Mi si è avvicinato e mi ha consegnato un libro, ormai purtroppo introvabile. Si intitola Interpretando Schnitzler, pubblicato nel 2004 da Carlo Zella Editore, e raccoglie una serie di saggi scritti dai “feroci” lettori che animano quelle serate nel comune alle porte di Firenze.
Ho ovviamente cominciato a leggerlo appena tornato a casa, partendo da pagina 129 dove Chiara Del Buono nel capitolo intitolato Lo sguardo, “viviseziona” proprio Fräulein Else. Io ho il sospetto che l’edizione a cui lei attinge, la traduzione italiana intendo, non sia la stessa da cui io ho tratto la mia novella, perché in alcuni punti, leggendo il suo breve saggio, mi sono sentito spaesato, addirittura cogliendo sfumature, dettagli, situazioni di cui non mi ero accorto o che mi erano sfuggiti, benché, nella sostanza, non modifichino l’andamento del mio approccio.
Il testo mi sembra molto originale, denso di spunti, suggestioni, attenzioni e mi piacerebbe riportarlo per intero qui per il piacere dei miei lettori, per non privarli di questo contributo utile, prezioso. Analizzati in altro modo ci sono molti dei temi sui quali mi sono soffermato e che sono stati il cuore del mio narrare. Non posso riportarlo, e mi dispiace. Ma consiglio agli appassionati di cercare il volume in biblioteca.
Devo però dar conto di alcuni brani nel finale del saggio, perché qui davvero vedo una convergenza, quasi un pensiero telepatico, al punto che a qualcuno potrebbe venire il sospetto che uno dei due, Chiara Del Buono o io, si sia ispirato all’altro.
La stesura originale della mia novella, inizialmente intitolata Esse O Else, risale al novembre del 2003. Ho rimesso mano, anche radicalmente, al testo originario dopo che Emilia Aru, tenace editrice di Portaparole, ha cominciato a prestare attenzione al mio scrivere, all’incirca nell’ottobre dello scorso anno: la scadenza per la consegna del manoscritto era il 30 dicembre 2011, ma io spedii con molto anticipo e poi insieme ci abbiamo lavorato di lima, anche con momenti di difficoltà, fino al gennaio di quest’anno.
Il libro Interpretando Schnitzler, lo ripeto, è del 2004, per la precisione del maggio di quell’anno, ma è ipotizzabile che la stesura dei testi sia stata di poco precedente: scrivevamo insieme, uno qua e uno là, Chiara Del Buono ed io, alla fine del 2003? Perché, lo ripeto, io quel libro l’ho visto per la prima volta mercoledì scorso, quando me l’ha consegnato, dopo avermene accennato per e-mail, Paolo Vannini.
Sentite che cosa scrive Chiara Del Buono a proposito di Fräulein Else (le sottolineature in corsivo sono mie):
«Leggendo il libro, qualcuno certamente si chiederà: “Cosa avrei fatto io al posto di Else?“. Else è una donna. E le inquietudini che solleva riguardano tutte le donne. Il confronto con questo personaggio non si pone nei termini di un’adesione o di una riluttanza totale. Else non appare un’eroina, né un’eretica da sconsacrare. Piuttosto sembra una figura con cui dialogare. Una donna può comprendere Else e capirne l’intimo strazio, forse più di un uomo, senza magari condividerla. Ma la materia di cui parla il libro tocca tutti, uomini e donne. E pone interrogativi su quella frontiera interna, personale, che in ognuno separa l’accettabile dal non lecito, l’erotismo fantasticato dalla meschina mercificazione volontaria.
Per questo è sorprendente che proprio un uomo abbia potuto, con tanta intensità, cogliere dei punti nodali dell’animo, femminile ma per certi versi anche maschile, che passano spesso sotto silenzio. Ma con cui conviviamo.
Non ci è estranea Else, né potrebbe esserlo. L’abbiamo già conosciuta, prima che nelle parole di Schnitzler, nella nostra interiorità.
Sarebbe forse interessante chiedersi, ipotizzare (perché il libro ovviamente non ci può offrire una risposta) che tipo di donna sarebbe diventata Else, se fosse cresciuta. Schnitzler descrive una ragazza di 19 anni che non conosce quiete interiore e non lascia al tempo la possibilità di trovare alle sue angosce una risposta confortante. Non riesce nella sua inquieta solitudine, a trovare alternativa a un drammatico aut-aut.
L’ambiente scoraggiante che la circondava l’avrebbe magari trasformata in una donna repressa e formale come la madre? Oppure il potenziale eversivo che recava dentro di sé avrebbe minato come una carica esplosiva le fondamenta fragili del mondo nel quale era cresciuta? Il pericolo di queste due estreme e opposte tesi è che Else si sarebbe condannata ugualmente all’infelicità: il conformismo silente e la ribellione violenta possono essere facce della stessa medaglia. “Il respiro che il tempo dà alle cose” indica la speranza di una via di uscita, l’unica che avrebbe reso Else una donna finalmente libera: e questa speranza risiede nell’amore. È innamorandosi, creando un’intimità vera con un uomo che le avesse insegnato a chiedere, a esprimere i suoi desideri, che Else forse avrebbe evitato, forse, la morte, e l’eventuale dovere da un lato e la contrarietà dall’altro. Ci si potrebbe anche chiedere se questo racconto sia ancora attuale. (Schnitzler lo scrive nel 1924). Oggi la “proposta indecente” di Dorsday non ci apparirebbe più così provocatoria. Verrebbe vissuta con più leggerezza. È stata superata da proposte più audaci!
E una donna oggi ha sicuramente meno problemi a esprimere i suoi desideri di quelli che poteva avere negli anni venti.
Ma c’è qualcosa di eterno, di non riconducibile alla richiesta di essere vista nuda: il dramma di non accettarsi mai del tutto, il dilemma di non essere solo buoni e puri, ma la dolorosa consapevolezza di essere fatti anche d’altro, di essere magari, secondo l’etica occidentale, impuri e spietati».
Ci sarebbe di che confrontarsi sui vari temi qui proposti. Sì, se leggesse queste pagine, Else potrebbe salvarsi. Forse. Magari andando sempre più verso Occidente.
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