Entrare in un libro

Tiziano Scarpa

Ci sono libri nei quali non è facile entrare. Oppongono una sorta di resistenza, quasi chiedendo al lettore di superare una prova per essere degno di proseguire. Qualsiasi editore direbbe che questo è un grave errore, che l’incipit dev’essere accattivante e seducente, questa è una regola come un articolo di giornale deve avere un attacco brillante e che condensi anche la norma delle 5 w, chi, dove, quando, cosa e perché.

È vero e non si può non essere d’accordo. Ma non è sempre così e forse si dovrebbe dire che perfortuna non è sempre così.

«Signora Madre, è notte fonda, mi sono alzata e sono venuta qui a scrivervi. Tanto per cambiare, anche questa notte l’angoscia mi ha presa d’assalto. Ormai è una bestia che conosco bene, so come devo fare per non soccombere. Sono diventata un’esperta della mia disperazione».

Inizia così Stabat Mater di Tiziano Scarpa (Torino, Einaudi, 2008), e bisogna andare avanti un bel po’ – o io almeno così ho dovuto fare – per sentirsi presi, per avvertire la voglia di procedere, senza che la mente si metta a distrarsi, sopraggiungano altri pensieri, gli occhi lacrimino e diventino sintomi di una stanchezza che sfocerà in uno sbadiglio. Non che sia una brutta frase, e nemmeno quelle che le vengono dietro, la seguono, ma si stenta a essere catturati. Poi però.

È la storia di una giovane donna ospitata nell’orfanotrofio di Venezia, l’antico Ospedale della Pietà, dov’è stata abbandonata dalla madre, dei suoi dialoghi con la morte, delle sue frequentazioni con la musica, della sua conoscenza con Antonio Vivaldi, quest’ultimo mediato dalla realtà ma fatto rivivere con la fantasia e la libertà dello scrittore.

Un libro di una grande dolcezza, crudo e spietato, ma dolcissimo. E scritto bene.

– Hai avuto una mamma, tu? –, chiede Cecilia, la protagonista, alla testa dai capelli di serpente con cui dialoga nei suoi solitari pensieri. E quella le risponde: – Mi stai chiedendo se la tua morte ha una madre anche lei?

– Sì.

(…)

– Ho la stessa madre che hai tu.

– Quindi siamo sorelle.

– Gemelle, direi.

– E ha abbandonato anche te?

– Perché vuoi saperlo?

– Mi farebbe male sapere che ha lasciato sola anche te.

– Vorresti che tua madre si prendesse cura della tua morte?

– Sì.

– Lo ha già fatto mettendoti al mondo.

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2 Responses to “Entrare in un libro”

  1. rita martinelli scrive:

    Mi aveva già “presa” l’inizio, prima che arrivassi al dialogo finale e che la mia natura femminile conosce molto bene. E’ a noi donne che Madre natura regala questa incombenza. Si mette al mondo la vita regalandola alla morte. E viceversa. Le donne lo sanno.
    Grazie per aver recensito questo libro. Solo per le poche cose riportate, mi par di leggermi.

  2. Francesco Beghi scrive:

    L’ho finito ieri sera e concordo in pieno, alla faccia dei veleni di tale Iannozzi Giuseppe

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