La mia Sardegna

Le dune di Piscinas

La trasferta sarda della mia signorina Else – in programma alle 18 di giovedì 18 aprile 2013 alla libreria Piazza Repubblica Libri in Corso Vittorio Emanuele 370 a Cagliari (tel. 070-308394) – rientra in un ciclo di presentazioni intitolate «I libri presentati dai lettori» e il lettore che si è preso l’incomodo di sfogliare le mie pagine al buio, senza sapere a cosa andava incontro, si chiama Vincenzo Soddu.

Non lo conosco, come del resto non conoscevo, prima di incontrarli sul luogo dove si sarebbe consumato il misfatto, molti di coloro che si sono resi disponibili a dir cosa ne pensano di quello che ho scritto per invitare o dissuadere i lettori dal farlo anche loro.

Mi sono trovato sempre bene, anzi benissimo, e ne ho dato conto in un post intitolato Gli incontri con il pubblico, nel quale ho ricordato le presentazioni fatte a Firenze, a Siena, a Certaldo, a Sesto Fiorentino, a Bologna, a Livorno, a Cortina d’Ampezzo, a Roma.

Ora è la volta di Cagliari, città nella quale non sono mai stato e che cercherò di scoprire nelle ore a mia disposizione prima e dopo l’evento, come mi piacerebbe, del resto, conoscere meglio quell’isola dove sono stato solo una volta se non ricordo male nel lontano 1978 benché lì abbia visto il mare più bello che mai mi sia capitato, per la precisione a Capo Coda Cavallo che mi dicono nel frattempo sia molto cambiato. In particolare mi piacerebbe andare alla scoperta delle dune che credo si trovino sul lato occidentale dell’isola verso Sud (dovrebbero chiamarsi, credo, Dune di Piscinas) e chi me le ha consigliate – persona a cui voglio un gran bene –, dice siano splendide, ancora popolate di animali da sogno, battute dal vento, spesso deserte e simili probabilmente a quel paesaggio incredibile che ho potuto osservare, in compagnia della mia dolce nipotina, in Francia quando sono andato a trovare Thich Nath Hahn, per l’esattezza le Dune du Pilat nel comune di Arcachon.

Vincenzo Soddu, a quel che ne so, fa l’insegnante e per la lettura ha una passione sfrenata. Tiene un blog dove riferisce delle sue letture e in due puntate, di cui ho già dato conto qui e qui, ha sviscerato il mio testo preannunciando probabilmente quel che dirà agli ospiti della libreria. Ne do conto anche nel post successivo dove ho riportato l’intero testo delle sue considerazioni.

Qui vorrei spendere ancora due parole sulla Sardegna, che – ripeto – conosco purtroppo molto poco, benché da moltissimo tempo provi verso questa terra una vera e propria “affinità elettiva”. I motivi sono più d’uno e ce n’è uno del quale devo tacere, conservandolo come un tenero segreto in petto. Dirò allora che mi lega l’aver condiviso, benché da invasore e tiranno, antenati comuni in quanto facenti parti di un Regno che iniziava dalle parti del Monviso e finiva proprio in fondo a quell’isola.

Poi c’è l’amore per due sardi che da soli basterebbero a far grande quella terra: Antonio Gramsci e Enrico Berlinguer. Esser loro debitori è il minimo che si possa fare. Ci aggiungerei anche Paolo Fresu che è l’altro lato della medaglia del mio grande amore per un musicista ebreo e americano, Uri Caine. C’è la cordialità, ma anche la tenacia, e la seriosità che mi è parso di scorgere nelle persone che mi è capitato di incontrare durante quella breve vacanza giovanile in compagnia della donna che poi avrei sposato: ferie durante le quali ho provato il brivido di essere “assalito” da un branco di cani randagi, riuscendo a domarli con l’immobilità e l’austerità della voce.

Infine un’amicizia dei primi anni di lavoro a l’Unità, un’amica che studiava linguistica e insieme alla quale ho mosso i miei primi passi pratici verso il fastidio per i pregiudizi verso gli stranieri, gli immigrati, i portatori di un’altra cultura. Fu a quell’epoca che scrissi, credo con un anticipo degno di un preveggente, un’inchiesta sulle prime comunità di stranieri, ricchi e poveri, occidentali e orientali, presenti a Firenze, in una stagione in cui il disprezzo verso il diverso, più che al marocchino o allo slavo, era rivolto proprio al sardo, perché c’era una comunità di pastori sfuggiti alla miseria e disposti a pascolar pecore nelle campagne abbandonate e in mezzo ad essa si annidava qualcuno, certamente spietato, che faceva parte della cosiddetta Anonima sequestri, comunemente detta Anonima sarda. Ho spezzato qualche lancia contro quel pregiudizio e mi vantavo di apprezzare l’Anghelu Ruju come un vino da meditazione migliore del Porto o di un prodotto allora di gran moda, il Mateus Rosè.

Insomma ce ne sono molti di motivi per rendermi gradevole questa rapida fuga.

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