Liberi di non esserlo
Lo scorso anno – come ho avuto occasione di spiegare qui – non mi sono potuto permettere di iscrivermi all’Anpi, l’Associazione nazionale dei partigiani d’Italia, alla quale aderisco – lo si può evincere da qui – come “antifascista” perché le alternative sono “partigiano” – e questo anagraficamente è impossibile oltre che verificabile solo dopo un’inconfutabile prova – o “patriota”, la qual qualifica, soprattutto dopo l’avvio dell’Unione europea, mi è oscura. Non avevo i soldi per farlo essendo agli sgoccioli anche dell’assegno di disoccupazione che per due anni mi ha tenuto in vita.
Aver ritrovato un lavoro mi dà anche questa possibilità. Da cui se ne dovrebbe dedurre che pur di avere possibilità come quella si dovrebbe essere disposti a tutto, perché solo così si può essere liberi. Durante il fascismo per poter lavorare bisognava prendere la tessera del Partito fascista. Altrimenti a casa. Qualcuno s’è ostinato a non farlo e gliene va dato atto, e credo che mio nonno materno sia stato uno di quelli. Sapevano a cosa andavano incontro e cosa avrebbero pagato. Chapeau. Non per ciò credo che si debba considerare dei “voltagabbana” opportunisti tutti coloro i quali considerarono quello il male minore e comunque la condizione che avrebbe consentito loro di combattere in altro modo il fascismo. E lo fecero davvero.
La questione dei “duri e puri” e degli incontaminati è viva ancora oggi stando alle cronache dei quotidiani perché c’è chi nel Pd dice si debba venire a patti ed altri che considerano un problema di coscienza ed un venir meno alla propria morale entrar a far parte di un governo nel quale siedano anche ministri della Pdl, cioè di quella forza politica avversata drasticamente nell’ultimo ventennio e accusata di essere responsabile non solo della decadenza del paese ma della sua corruzione. Interessante a questo proposito era l’articolo di ieri sul Corriere della Sera intitolato Il sospetto universale a firma di Ernesto Galli Della Loggia.
Benché apparentemente non c’entri nulla, in queste considerazioni si potrebbe introdurre anche la fastidiosa pubblicità della Mondadori che compare oggi sulla prima pagina di Repubblica, con la quale si promuove il libro di Sergio Luzzatto intitolato Partigia. Per invogliare il lettore a comprarlo c’è scritto: «Il “segreto brutto” di Primo Levi: uno storia della Resistenza». Di questo libro ho letto nei giorni scorsi quello che hanno scritto su Repubblica Gad Lerner (qui) e sul Corriere Paolo Mieli (qui). Io non credo sia esecrabile l’aver ricostruito più dettagliatamente la storia di quell’episodio con pudore ed imbarazzo narrato dallo stesso Levi in Oro che è contenuto in Il sistema periodico. Credo sia esecrabile appunto considerarlo un “segreto brutto” colpevole di altro e capace di infangare chi ha tentato come poteva di liberarsi e di liberarci.
Ecco perché ancora oggi e anche quando non ci saranno più partigiani iscritti all’Anpi cercherò di mantenere questo impegno, senza perciò pensare che non ci sia sull’altro fronte qualche vittima innocente o anche solo parzialmente innocente. Vorrei dirlo in altro modo: mi sento libero di non essere libero di potermi pagare la tessera all’Anpi se questo dovesse impedirmi di essere libero, ed è forse quello che è avvenuto e mi è stato fatto pagare. E non è un gioco di parole.
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