Del piacere e altri demoni

Antonella Blanco

Dopo aver pubblicato nel blog gli articoli Mente, chimica e coccoleEpicurei e edonisti, Antonella Blanco, di cui ho già riferito in Testa fra le nuvole, mi ha scritto di aver trovato molto interessanti quelle mie considerazioni sulle questioni lì trattate, ed in particolare sui temi corpo, mente, chimica, piacere ai quali da un po’ di tempo lavora, essendo attinenti alla nuova tesi di laurea (Endocannabinoidi e meccanismi di gratificazione) che sta preparando, ed io allora le ho chiesto se avesse voglia di scrivere qualcosa in merito, perché ho madornali buchi di conoscenza a riguardo e, comunque sia, trovo di grande interesse sviscerare la faccenda e apportarvi nuovi contributi.

Lei è stata di parola, si è presa il suo tempo e mi ha spedito quanto segue, autorizzandomi a pubblicarlo. Non gliel’ho ancora chiesto ma mi attendo un seguito prendendo spunto dall’ultima sua frase: «Da qui, però, il discorso si allarga e si fa più complesso addentrandosi più propriamente nel tema del corpo; ma questa, come si dice, è un’altra storia». Ecco, Antonella, vogliamo conoscerla quest’altra storia. Ancora grazie.

di Antonella Blanco

È vero, siamo “una massa di sostanza irritabile” (S. Freud, Al di là del principio di piacere, 1920).

Tanta strada è stata fatta dalla neurofisiologia a partire dal 1953, quando Milner e Olds attraverso studi di elettrostimolazione condotti sui ratti scoprirono l’esistenza del circuito cerebrale del piacere. L’asse centrale di questo è costituito dai neuroni dopaminergici dell’area tegmentale mediale (ATV), una piccola regione situata alla base dell’encefalo, e dai loro assoni. A questi, che sono in connessione con numerosissime aree del cervello – come la corteccia prefrontale, oltre a tutte le altre aree chiave del sistema limbico – giungono gli impulsi nervosi che scatenano nelle sinapsi il rilascio del neurotrasmettitore dopamina, evento a sua volta finemente modulabile da parte di una lunga serie di segnali chimici, sia endogeni che esogeni.

Tralasciando molti nomi e molte ricerche, e citandone quindi solo alcuni per necessità di sintesi si passa al 1975, anno in cui Hughes e Kosterlitz identificarono dei composti chimici presenti nel cervello, le endorfine, capaci di legarsi ai recettori della morfina e attivarli. E poi ancora su, fino agli anni ’90 quando, dopo le ricerche di Matsuda prima, e quelle di Herkenham e dei suoi collaboratori dopo, si documentò la presenza e la distribuzione cerebrale dei recettori cannabici, scoperta che aprì la strada a Devane e coll. i quali isolarono il primo ligando endogeno in grado di legarsi selettivamente a questi recettori: l’N-arachidoniletanolammina meglio nota come anandamide (AEA) dal termine sanscrito ananda (“stato di grazia”).

E allora ecco dunque, ad oggi, le ultime.

Se a tutti appare ovvio che per poter sopravvivere e trasmettere i nostri geni alle generazioni successive abbiamo bisogno di trovare gratificanti cose come il cibo, l’acqua e il sesso, meno ovvio invece appare il fatto che anche il dolore, come il piacere, guida funzioni mentali e comportamenti. Studi recenti (Linden, 2007) ci dicono che piacere e dolore non debbano essere considerate due estremità opposte, ma come un tutt’uno. Sia gli studi condotti sugli animali che quelli sugli esseri umani hanno evidenziato che il rilascio di dopamina da parte dei neuroni dell’area tegmentale ventrale (ATV), l’evento biochimico principale del circuito del piacere, viene innescato anche dagli stimoli dolorosi.

Cito testualmente quanto scrive il neurofisiologo David Linden: «Nel lessico della neuroscienza cognitiva sia il piacere che il dolore indicano salienza, ossia un’esperienza che è potenzialmente importante e merita quindi attenzione. L’emozione è la moneta corrente della salienza: sia le emozioni positive, come l’euforia e l’amore, sia quelle negative, come la paura, la rabbia e il disgusto, segnalano eventi che non dobbiamo ignorare. L’opposto del piacere non è il dolore. Infatti, proprio come l’opposto dell’amore non è l’odio ma l’indifferenza, allo stesso modo l’opposto del piacere non è il dolore ma piuttosto la noia, ovvero la mancanza di interesse nei confronti delle sensazioni e delle esperienze. […] Studi recenti fanno ipotizzare la presenza di due circuiti paralleli nella ATV: il primo è il circuito del piacere attivato dal piacere/gratificazione e inibito dal dolore; e il secondo è un “circuito della salienza” che risulta essere attivato sia dagli stimoli piacevoli che da quelli dolorosi ed è strettamente associato alle risposte emotive.

Questo significa che il dolore in sé è in qualche modo gratificante, o soltanto saliente? Non conosciamo la risposta esatta a questa domanda, perché la ricerca deve ancora avanzare in questa direzione. C’è una serie di fattori che complicano qualsiasi interpretazione fossimo in grado di formulare, come per esempio il fatto che ogni stimolo doloroso di breve durata prima o poi si interrompe e il sollievo che proviamo in quel momento è di per sé piacevole. Un discorso leggermente diverso vale invece per un dolore cronico e duraturo, poiché è probabile che esso vada a produrre cambiamenti a lungo termine nel circuito del piacere attraverso l’azione degli ormoni dello stress. Si potrebbe anche supporre che l’aggiunta del dolore al piacere crei nel prosencefalo mediale una sorta di risposta super-saliente e che questa in qualche modo contribuisca in alcuni ambienti alla popolarità del sesso sadomaso, o persino dei cibi saporiti carichi di peperoncino».

Dal rapporto complicato e ambivalente che noi esseri umani abbiamo con il piacere, che ci procuriamo impiegando enormi quantità di tempo e risorse, è nata probabilmente la necessità di regolamentarlo. In diverse forme e varianti, a seconda delle epoche e delle culture, troviamo regole e convenzioni riguardanti il sesso, le droghe, l’alcol, il cibo.

Nei Penitenziali, ad esempio, libri stilati nell’alto Medioevo in ambiente monastico con elenchi di peccati e relative penitenze, impiegati per aiutare chi amministrava la penitenza a valutare i peccati e a indicare gli opportuni atti riparatori, è proprio il cibo ad essere al centro del discorso.

Scrive la storica del Medioevo Maria Giuseppina Muzzarelli: «In questi libri le norme in essi contenute seguendo l’ordinamento dei peccati, prendono avvio dalla gola, padre o forse madre di tutti i vizi. La disciplina della gola si profila sempre come la prima da attuare. Non solo alla gola viene attribuito il primato fra i peccati, ma tramite la gola i Penitenziali si ripromettono di agire su uomini e donne che hanno commesso peccati, punendo ogni sorta di reato o peccato con un particolare e restrittivo regime alimentare. La riproposizione costante, a titolo di riparazione, di una dieta a pane e acqua dimostra l’assunto che le privazioni alimentari curano non solo i peccati nati dal desiderio di cibo ma più in generale disciplinano e raffreddano il corpo che desidera peccare, e non solo di gola. Quel corpo che brama e cade così nel peccato diventa anche il terreno di reintegrazione, lo strumento di redenzione se accetta la disciplina alimentare e dunque la privazione di cibo. […] Fin dai primi secoli del cristianesimo prese a diffondersi l’idea della disciplina alimentare come strumento per controllare il desiderio. Si affermò così, e non solo in ambiente monastico, il binomio abstinentia/continentia».

È particolarmente nei confronti delle donne che venivano imposte misure nel consumo di cibo ma non solo. Alle donne era richiesto di dar prova di distacco dai sensi fin dalla giovane età esercitandosi con forme di autodisciplina alimentare. I mezzi per giungere alla purezza prevedevano rigide privazioni per quanto riguardava il cibo, ma anche la vista e il tatto; era sconsigliato stabilire contatti fisici con adulti e coetanee, e persino toccare le stoffe morbide. Insomma, la continentia richiesta alle donne in campo sessuale trovava un indispensabile presupposto nella abstinentia alimentare.

Quanto a lungo si è conservato questo modello? E quanto ha influenzato la relazione delle donne con il cibo? Misura e capacità di autodisciplina quanto sono state interiorizzate con il tempo dalle donne stesse?

Chissà cosa direbbero oggi quei monaci censori se sapessero quanto hanno rivelato le ultime ricerche, cioè che anche la preghiera, la meditazione e persino il fare beneficenza attivano nel cervello lo stesso circuito del piacere anatomicamente e biochimicamente definito che viene attivato dal cibo, dall’oppio, dall’orgasmo, dall’apprendimento, dalla cannabis, dall’esercizio fisico, dall’alcol, dalla nicotina e dal ballare allo sfinimento. Stessi segnali neurali che convergono sullo stesso piccolo gruppo di aree cerebrali interconnesse, dove il piacere umano viene percepito.

Anche Alexander Lowen, l’allievo di Reich e fondatore dell’analisi bioenergetica, muovendo da percorsi diversi, sembra giungere alle medesime conclusioni della neurofisiologia: «Nel suo significato più semplice, il piacere è la sensazione che si sviluppa dal continuo processo della vita e che va oltre la mera sopravvivenza, ovvero il semplice mantenimento dell’integrità fisica dell’organismo. L’abilità di sopravvivere si trova in molti individui emotivamente disturbati che si lamentano di non provare piacere nel vivere, o molto poco, e si sentono depressi. In tali casi i processi vitali hanno smesso di andare ‘avanti’. La vita non mira a un equilibrio statico ma include il concetto di crescita. Ecco perché la novità è un ingrediente essenziale del piacere. La ripetizione di esperienze identiche è noiosa e nella nostra mente significa negazione della vita. Usiamo l’espressione ‘noia mortale’ per descrivere gli effetti dannosi della mancanza di eccitamento. Il piacere è strettamente legato al fenomeno della crescita che è un’espressione vitale del processo della vita in corso. Cresciamo tramite l’incorporazione dell’ambiente nel nostro essere, da un punto di vista sia fisico sia psicologico. […] Il piacere non può essere definito come assenza di dolore. Perché se è vero che il sollievo dal dolore produce una buona sensazione, lo fa riportando il corpo al suo stato originario, che è il benessere. Il dolore ci ha resi consapevoli del nostro corpo e nel breve tempo che segue al sollievo siamo anche consapevoli del piacere di essere vivi. […] Sia il dolore sia il piacere sono risposte naturali del corpo al suo ambiente: quando la relazione dell’organismo è armoniosa e positiva, il tono delle sensazioni è piacevole, mentre ogni minaccia o disturbo di tale armonia è doloroso. In natura non esiste uno stato neutro o una condizione naturale nell’organismo che corrisponda all’assenza di piacere o dolore. Da questo punto di vista, l’assenza di sensazioni o la sensazione di vuoto sono patologiche. Una tale condizione, che pure affligge così tante persone, indica che hanno represso le loro emozioni. Sono diventate rigide, sopprimendo così ogni movimento e sensazione.

Si può affermare che la rigidità, ovvero la tensione muscolare cronica, è mirata a sopprimere le sensazioni dolorose. Ovviamente nessuno desidera sopprimere le sensazioni piacevoli. Quando, nel corso di una terapia bioenergetica, queste tensioni vengono sciolte, ci si può aspettare che ricordi ed effetti dolorosi emergano alla coscienza. L’abilità del paziente di accettare e tollerare tali penose emozioni determinerà la sua capacità di esperire quelle piacevoli».

Da qui, però, il discorso si allarga e si fa più complesso addentrandosi più propriamente nel tema del corpo; ma questa, come si dice, è un’altra storia.

3 Responses to “Del piacere e altri demoni”

  1. Gilberto Briani scrive:

    Sì il corpo è un altra storia. Ha ragione Antonella Blanco. In virtù del suo stimolante articolo vorrei aggiungere alcuna piccole notazioni.
    La prima è che Alexander Lowen negli ultimi anni della sua vita mi confidò che, secondo lui, l’uomo aveva e temeva un solo e grande nemico: il piacere. E non si capacitava di come l’uomo potesse vedere in questo basilare fattore di crescita evolutiva, il suo principale nemico.
    Sempre secondo il suo pensiero, il cambiamento evolutivo del genere umano sarebbe avvenuto solo dopo che l’uomo fosse stato capace di ribaltare questa prospettiva, accettando pienamente il principio del piacere, nel suo significato più ampio.
    Infatti la pratica analitica bioenergetica sviluppata da Lowen stesso, mira a restaurare nell’individuo un sano equilibrio fra le sensazioni dolorose che normalmente sovrastano l’individuo e quelle piacevoli che rappresentano momenti abbastanza fuggevoli del vivere quotidiano. Ai fini di queste brevi note, è interessante perciò notare come nella pratica terapeutica si assista al fenomeno del paziente che abbandoni la terapia, non per le scuse che normalmente adduce, quanto perché impaurito di lasciare lo schema di una vita, nel migliore dei casi, piacevolmente dolorosa. Il “nuovo” che avanza come possibilità concreta durante la terapia, diventa il “demone” che impaurisce e impedisce all’individuo quel cambiamento verso una dimensione di libertà e creatività che , inconsciamente, aveva sempre desiderato.
    Ho scelto volutamente il vocabolo “demone” in quanto il principio del piacere è sempre stato, appunto, “demonizzato” da millenni da tutte le elite politiche e religiose che hanno basato il loro potere sull’asservimento dell’uomo, in quanto strumento di libertà e creatività evidentemente molto pericoloso per la loro stabilità. Spostando il significato del piacere verso quello di licenziosità e degenerazione hanno distrutto consapevolmente l’aspetto evolutivo insito nella struttura stessa del piacere, hanno sbiadito la gioia di vivere e hanno fatto del dolore e della sofferenza una fonte di riscatto etico e morale. Così l’uomo paga da sempre un grandissimo contributo di sanguinosa involuzione , seguitando a creare un mondo dove l’amore, come strumento di relazione, è relegato alla misericordia di Dio e non alla buona volontà degli esseri umani.

  2. [...] accantonati ai quali non si vuol prestar attenzione per timore di sentire e riconoscersi. In Del piacere e altri demoni ho ospitato uno scritto di Antonella Blanco che terminava così: «Da qui, però, [...]

  3. [...] il titolo Del piacere e altri demoni* il 29 aprile [...]

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