Meteoropatici

Anche questa mattina il primo pensiero di molte persone è stato una maledizione contro la pioggia, una lamentela per le nubi che sovrastano e coprono il cielo e celano il sole. L’anomalia è evidente perché maggio ha la sua lunga storia di mese ridente dai primi tepori. Ammesso che la bizzarria non sia volere di dio ma effetto di consuetudini che alterano le condizioni della natura, a nessuno probabilmente è venuto in mente, oltre che di prendere l’ombrello, di lasciare l’auto parcheggiata sotto casa o installare i pannelli solari al posto della caldaia a gas metano o, peggio mi sento, del bruciatore a nafta: i primi non dovrebbero emettere anidride carbonica in atmosfera, i secondi sì, come nella maggior parte delle combustioni.

Individui composti all’incirca per il 70,8% di acqua, che è la stessa percentuale della superficie del pianeta coperta, anziché da terra, da quel basilare liquido composto per due terzi di idrogeno e il per il resto d’ossigeno, bofonchiano per l’umidità nell’aria che si attesta fra l’80 e il 90% perché il benessere lo si ha quando in atmosfera i valori sono compresi fra il 35 e il 65%, dimentichi che senza acqua si resiste pochi giorni, a galla, invece, se non interviene l’ipotermia, più a lungo.

Insomma individui meteoropatici che, prima di scrivere questo post, avrei erroneamente detto “metereopatici”, così come “previsioni metereologiche” anziché “previsioni meteorologiche”, sfondone che non escludo di rifare avendo per così tanto tempo sbagliato, dal momento che ignoravo che la meteorologia fosse quella parte della fisica che tratta delle meteore e delle condizioni climatologiche alla superficie del globo, in quanto il metèoron greco da cui deriva in combinazione con il logos, è tanto la meteora quanto ciò che è o avviene in alto.

Wikipedia spiega che la meteoropatia è l’insieme di disturbi psichici e fisici di tipo neurovegetativo che si verificano in determinate condizioni e variazioni del tempo meteorologico.

Il meteoropatico vero e proprio è quello sottoposto a cambiamenti d’umore, il quale accusa disturbi fisici a seguito di variazioni climatiche, anche prima del verificarsi dei mutamenti. Si dice manifesti stati di irritabilità, nervosismo, insonnia, debolezza, apatia, depressione in concomitanza con venti, temporali, diminuzioni della pressione atmosferica, pioggia, umidità e cielo nuvoloso. Generalmente non si considerano meteoropatici colori i quali accusano sintomi al mutare delle stagioni.

Un po’ meteoropatici pare lo si sia tutti, ed è evidente che uscir di casa sotto la pioggia sia più fastidioso di iniziare la giornata con un bel solicino che neanche nelle ore di punta diventa una canicola infernale, però poi c’è chi come me adora il vento e starebbe a farsi sferzare e chi invece non ne vuol neanche sentir parlare.

Secondo Wikipedia la meteoropatia patologica è legata al funzionamento dell’epifisi o dell’ipofisi, o forse più esattamente dell’adenoipofisi che è il lobo anteriore di questa ghiandola, la quale produrrebbe l’ormone dello stress (ACTH), «non in maniera costante ma in maggiore quantità alla mattina e in minore quantità alla sera, in occasione di eventi climatici caratterizzati specialmente da una diminuzione della temperatura esterna, ne aumenta la produzione, provocando nei meteoropatici irritabilità e nervosismo». Contemporaneamente, si legge, «si verifica una diminuzione delle endorfine, le sostanze chimiche di natura organica prodotte dal cervello, dotate di proprietà analgesiche, provocando una diminuzione della sopportazione del dolore con una contemporanea ridotta capacità delle difese immunitarie».

Questa mattina ad una persona che lamentava – però col sorriso sulle labbra, quasi, direi, a parlar del tempo perché è semplice come dire dell’ultima partita della squadra del cuore, e qualcosa bisogna pur dire – il grigiore, le precipitazioni, il protrarsi dell’inverno e la timidezza con cui la primavera fa capolino, ho detto di godersi le nuvole in attesa di godersi il sole e insomma di prender per buono ogni giorno il clima che qualcuno ci manda in terra o di sua sponte avvolge il pianeta, gioiendo, come direbbe Thich Nath Hahn, ora del tè che si sta bevendo, ora del lavar la tazza che l’ha contenuto e ci ha consentito di portarlo alla bocca.

Tutto questo per non attribuire alla pioggia, o come avrebbe detto la mia ex-moglie, al sale nella minestra, quello che pesa da qualche altra parte, e, se lo si vede in faccia, magari lo si aggiusta. O forse solo per “star meglio” che non è affatto marginale.

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