La strategia della vittima

Eugenio Scalfari

Sono contento che la Società Editrice Dante Alighieri, nel cui catalogo spicca il mitico vocabolario di greco Rocci, abbia deciso di pubblicare – me lo comunica gentilmente l’autore stesso – il saggio di Francesco Bucci, Eugenio Scalfari. L’intellettuale dilettante, del quale ho scritto il 17 giugno scorso in un post intitolato Il diletto di Eugenio, dovendo tornare il giorno stesso sull’argomento con Difesa d’ufficio perché l’autore, pur ringraziandomi dell’attenzione, implicitamente mi dava di intellettuale dilettante, o meglio sottolineava la superficialità del giornalista, reo, a suo giudizio, di aver scritto senza aver letto.

La pubblicazione del libro è la dimostrazione – di cui non si può essere altro che lieti per il bene di tutti – che non è vero in Italia si possa parlar male di Giuseppe Garibaldi, ma non di Eugenio Scalfari. Questa era la tesi sostenuta dall’agenzia letteraria Bottega editoriale incaricata di promuovere il libro non ancora edito di Francesco Bucci, la quale aveva optato per una strategia di comunicazione vittimista: mi discriminano, prendetemi in considerazione, datemi spago, prestatemi la vostra attenzione.

Io l’ho fatto – si potrebbe dire cadendo nel tranello se non fossi stato consapevole di quel che stavo facendo – ed ho scritto che un signore di nome Francesco Bucci, aveva scritto un libro nel quale si intende dimostrare che la lettura dei libri di Eugenio Scalfari – in senilità affetto da desiderio di immortalità – è del tutto inutile, tali e tante sarebbero le sciocchezze in essi contenute, e che Barbapapà, pur ammettendo un certo proprio dilettantismo, sarebbe un millantatore di conoscenze che non possiede, un venditore di fumo, mandato in libreria solo per il nome che porta e la fama acquisita nel tempo, e che i colossi dell’editoria danno alle stampe solo tal paccottiglia anziché mettere in catalogo opere come quella di Bucci, «un’opera “controcorrente” e fastidiosa, perché mette in luce le responsabilità di una parte importante dell’industria culturale italiana (Repubblica-L’Espresso, Rizzoli, Einaudi e da ultimo Mondadori), che propina ad una massa di sprovveduti lettori prodotti di infima qualità in una logica puramente mercantile».

Nel presentare il libro di Bucci non ho taciuto sulla superficialità dell’industria culturale italiana, alla quale tuttavia non credo si debba contestare la logica mercantile, semmai la logica mercantile non accompagnata da una sufficiente passione civile, culturale e professionale: i redattori e i direttori di collana vengono pagati per valorizzare prodotti vendibili – meglio se molto vendibili – che magari, però, siano anche leggibili e privi di svarioni, e questo purtroppo avviene sempre meno.

Non ho taciuto delle motivazioni addotte da Bucci per “stroncare” il fondatore di Repubblica nella sua veste di saggista di cose che riguardano lo Spirito, ma non ho dato testimonianza dei supposti sfondoni di Eugenio, lasciando che il lettore, per me mai “sprovveduto”, vada eventualmente a cercarli nel libro ora pubblicato dalla Società Editrice Dante Alighieri, che senz’altro fa parte del non irrisorio cosmo di quanti Barbapapà lo metterebbero al rogo: son certo che ce ne sono, anche se la faccenda è parecchio confusa come molte cose oggi in Italia.

Questa mia mancanza di entusiasmo e di incondizionata adesione, questo mio mantenere un equilibrio intellettuale che significa né incensare Scalfari, né infamarlo, mi è costata la critica di superficialità, e mi ha costretto alla replica. Ma avevo colto allora l’operazione mediatica e oggi sono contento, oltre che della pubblicazione del libro di Bucci, della mia lungimiranza.

Una lungimiranza dilettantesca.

La copertina del libro di Bucci

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