Un testo basilare

Ripropongo l’ultimo dei tre articoli di Enrico Berlinguer intitolati Riflessioni sull’Italia dopo i fatti del Cile, pubblicati sul settimanale “Rinascita” nel settembre-ottobre 1973, in cui per la prima volta comparve la formula “compromesso storico”. Contiene concetti che considero basilari ancora oggi, benché la realtà sia a distanze siderali da quella in cui vennero espressi. Non ho fatto alcuna verifica sulla fedeltà del testo tratto da questo sito di una sezione di Rifondazione comunista.

Enrico Berlinguer

Riflessioni sull’Italia dopo i fatti del Cile

di Enrico Berlinguer

Gli avvenimenti cileni sono stati e sono vissuti come un dramma da milioni di uomini sparsi in tutti i continenti. Si è avvertito e si avverte che si tratta di un fatto di portata mondiale, che non solo suscita sentimenti di esecrazione verso i responsabili del golpe reazionario e dei massacri di massa, e di solidarietà per chi ne è vittima e vi resiste, ma che propone interrogativi i quali appassionano i combattenti della democrazia in ogni paese e muovono alla riflessione.

Non giova nascondersi che il colpo gravissimo inferto alla democrazia cilena, alle conquiste sociali ed alle prospettive di avanzata dei lavoratori di quel paese è anche un colpo che si ripercuote sul movimento di liberazione e di emancipazione dei popoli latino-americani e sull’intero movimento operaio e democratico mondiale; e come tale è sentito anche in Italia dai comunisti, dai socialisti, dalle masse lavoratrici, da tutti i democratici e gli antifascisti.

Ma come sempre è avvenuto di fronte ad altri eventi di tale drammaticità e gravità, i combattenti per la causa della libertà e del socialismo non reagiscono con lo scoramento o solo con la deprecazione e la collera, ma cercano di trarre un ammaestramento. In questo caso l’ammaestramento tocca direttamente masse sterminate della popolazione mondiale, chiamando vasti strati sociali, non ancora conquistati alla nostra visione dello scontro sociale e politico che è in atto nel mondo di oggi, a scorgere e intendere alcuni dati fondamentali della realtà.

Ciò costituisce una delle premesse indispensabili per un’ampia e vigorosa partecipazione alla lotta volta a cambiare tali dati. Anzitutto, gli eventi cileni estendono la consapevolezza contro ogni illusione, che i caratteri dell’imperialismo, e di quello nord-americano in particolare, restano la sopraffazione e la jugulazione economica e politica, lo spirito di aggressione e di conquista, la tendenza ad opprimere i popoli e a privarli della loro indipendenza, libertà e unità ogni qualvolta le circostanze concrete e i rapporti di forza lo consentano.

In secondo luogo, gli avvenimenti in Cile mettono in piena evidenza chi sono e dove stanno, nei paesi del cosiddetto mondo libero, i nemici della democrazia. L’opinione pubblica di questi paesi, bombardata da anni e da decenni da una propaganda che addita nel movimento operaio, nei socialisti e nei comunisti i nemici della democrazia, ha oggi davanti a sé una nuova lampante prova che le classi dominanti borghesi, e i partiti che le rappresentano o se ne lasciano asservire, sono pronti a distruggere ogni libertà e a calpestare ogni diritto civile e ogni principio umano quando sono colpiti o minacciati i propri privilegi ed il proprio potere.

A questo fine è indispensabile assolvere al compito di una attenta riflessione per trarre dalla tragedia politica del Cile utili insegnamenti relativi a un più ampio e approfondito giudizio sia sul quadro internazionale, sia sulla strategia e tattica del movimento operaio e democratico in vari paesi, tra i quali il nostro.

Abbiamo constatato che la via democratica non è né rettilinea né indolore. Più in generale il cammino del movimento operaio, quali che siano le forme di lotta, non è stato mai né può essere una ascesa ininterrotta. Ci sono sempre alti e bassi, fasi di avanzata cui seguono fasi in cui il compito è di consolidare le conquiste raggiunte, o anche fasi in cui bisogna saper compiere una ritirata per evitare la disfatta, per raccogliere le forze e per preparare le condizioni di una ripresa del cammino in avanti. Questo vale sia quando il movimento operaio combatte stando all’opposizione sia quando esso conquista il potere o va al governo.

L’obiettivo di una forza rivoluzionaria, che è quello di trasformare concretamente i dati di una determinata realtà storica e sociale, non è raggiungibile fondandosi sul puro volontarismo e sulle spinte spontanee di classe dei settori più combattivi delle masse lavoratrici, ma muovendo sempre dalla visione del possibile, unendo la combattività e la risolutezza alla prudenza e alla capacità di manovra.

Il punto di partenza della strategia e della tattica del movimento rivoluzionario è la esatta individuazione dello stato dei rapporti di forza esistenti in ogni momento e, più in generale, la comprensione del quadro complessivo della situazione internazionale e interna in tutti i suoi aspetti, non isolando mai unilateralmente questo o quell’elemento.

La via democratica al socialismo è una trasformazione progressiva – che in Italia si può realizzare nell’ambito della Costituzione antifascista – dell’intera struttura economica e sociale, dei valori e delle idee guida della nazione, del sistema di potere e del blocco di forze sociali in cui esso si esprime.

Quello che è certo è che la generale trasformazione per via democratica che noi vogliamo compiere in Italia ha bisogno, in tutte le sue fasi, e della forza e del consenso. La forza si deve esprimere nella incessante vigilanza, nella combattività delle masse lavoratrici, nella determinazione a rintuzzare tempestivamente – ci si trovi al governo o all’opposizione – le manovre, i tentativi e gli attacchi alle libertà, ai diritti democratici e alla legalità costituzionale.

Consapevoli di questa necessità imprescindibile noi abbiamo messo sempre in guardia le masse lavoratrici e popolari, e continueremo a farlo, contro ogni forma di illusione o di ingenuità, contro ogni sottovalutazione dei propositi aggressivi delle forze di destra. In pari tempo, noi mettiamo in guardia da ogni illusione gli avversari della democrazia.

Come ha ribadito il compagno Longo al XIII Congresso, chiunque coltivasse propositi di avventura sappia che il nostro partito saprebbe combattere e vincere su qualunque terreno, chiamando all’unità e alla lotta tutte le forze popolari e democratiche, come abbiamo saputo fare nei momenti più ardui e difficili.

La profonda trasformazione della società per via democratica ha bisogno di un significato assai preciso: in Italia essa può realizzarsi solo come rivoluzione della grande maggioranza della popolazione; e solo a questa condizione, consenso e forza si integrano e possono divenire una realtà invincibile.

Tale rapporto tra forza e consenso è del resto necessario quali che siano le forme di lotta adottate, anche se si tratta di quelle più avanzate fino a quelle cruente.

Il nostro movimento di liberazione nazionale, che fu un movimento armato, ha potuto resistere e vincere perché‚ era fondato sull’unità di tutte le forze popolari e democratiche e perché‚ ha saputo conquistarsi il sostegno e il consenso della grande maggioranza della popolazione.

Del resto, anche sulla sponda opposta, si è visto che i movimenti antidemocratici e lo stesso fascismo non possono affermarsi e vincere unicamente con il ricorso alla violenza reazionaria, ma hanno bisogno di una base di massa più o meno estesa, soprattutto in paesi con una struttura economica e sociale complessa ed articolata.

Ed è perfino ovvio ricordare che, più in generale, il dominio della borghesia non si regge solo sugli strumenti (da quelli più brutali a quelli più raffinati) della coercizione e della repressione, ma si regge anche su una base di consenso più o meno manipolato, su un certo sistema di alleanze sociali e politiche.

È il problema delle alleanze, dunque, il problema decisivo di ogni rivoluzione e di ogni politica rivoluzionaria, e esso è quindi quello decisivo anche per l’affermazione della via democratica.

La strategia delle riforme può dunque affermarsi e avanzare solo se essa è sorretta da una strategia delle alleanze. Anzi, noi abbiamo sottolineato che, nel rapporto tra riforme e alleanze, queste sono la condizione decisiva perché‚ se si restringono le alleanze della classe operaia e si estende la base sociale dei gruppi dominanti, prima o poi la realizzazione stessa delle riforme viene meno e tutta la situazione politica va indietro, fino anche a rovesciarsi.

Naturalmente, la politica delle alleanze ha il suo punto di partenza nella ricerca di una convergenza tra gli interessi economici immediati e di prospettiva della classe operaia e quelli di altri gruppi e forze sociali.

Ma tale ricerca non va concepita e attuata in modo schematico o statico. Occorre cioè indicare rivendicazioni e perseguire obiettivi che offrano concretamente a questi strati di popolazione e a queste forze e gruppi sociali una certezza di prospettive che garantiscano in forme nuove e possibilmente migliorino il loro livello di esistenza e il loro ruolo nella società, ma in un diverso sviluppo economico e in un più giusto e più moderno assetto sociale.

A questo scopo diviene necessario lavorare anche per determinare una evoluzione nella stessa mentalità di questi ceti e forze sociali, nel senso di allargare in tutta la popolazione una visione sempre meno individualistica o corporativa e sempre più sociale della difesa degli interessi dei singoli e di quelli della collettività.

Noi non ci limitiamo, dunque, a ricercare e a stabilire convergenze con figure sociali e categorie economiche già definite, ma tendiamo a conquistare e a comprendere in un articolato schieramento di alleanze interi gruppi di popolazione, forze sociali non classificabili come ceti, quali sono, appunto, le donne, i giovani e le ragazze, le masse popolari del Mezzogiorno, le forze della cultura, movimenti di opinione, e proponiamo obiettivi non soltanto economici e sociali, ma di sviluppo civile, di progresso democratico, di affermazione della dignità della persona, di espansione delle molteplici libertà dell’uomo.

Ecco il modo con cui noi intendiamo e compiamo il lavoro concreto per costruire e preparare le basi, le condizioni e le garanzie di quello che si suole chiamare un modello nuovo di socialismo.

Un grosso problema che ci impegna in sede politica, e che deve impegnare di più, in sede teorica, i marxisti e gli studiosi avanzati dell’Italia e dei paesi dell’occidente, è come far sì che un programma di profonde trasformazioni sociali – che determina necessariamente reazioni di ogni tipo da parte dei gruppi retrivi – non venga effettuato in modo da sospingere in posizione di ostilità vasti strati dei ceti intermedi, ma riceva invece, in tutte le sue fasi, il consenso della grande maggioranza della popolazione.

Ciò, evidentemente, comporta una attenta scelta delle priorità e dei tempi delle trasformazioni sociali e comporta, di conseguenza, l’adoperarsi non solo per evitare un collasso dell’economia ma per garantire anzi, anche nelle fasi critiche di passaggio a nuovi assetti sociali, l’efficienza del processo economico.

Questo è certamente uno dei problemi vitali che ha dinanzi a sé un governo di forze lavoratrici e popolari; ma è un problema altrettanto fondamentale in un paese come l’Italia, ove una forza grande come la nostra, uscita da tempo dal terreno della pura propaganda, cerca, fin da ora, dall’opposizione, con l’arma della pressione di massa e dell’iniziativa politica unitaria, di imporre l’avvio di un programma di trasformazioni sociali.

Se è vero che una politica di rinnovamento democratico può realizzarsi solo se è sostenuta dalla grande maggioranza della popolazione, ne consegue la necessità non soltanto di una politica di larghe alleanze sociali ma anche di un determinato sistema di rapporti politici, tale che favorisca una convergenza e una collaborazione tra tutte le forze democratiche e popolari, fino alla realizzazione fra di esse di una alleanza politica.

D’altronde, la contrapposizione e l’urto frontale tra i partiti che hanno una base nel popolo e dai quali masse importanti della popolazione si sentono rappresentate, conducono a una spaccatura, a una vera e propria scissione in due del paese, che sarebbe esiziale per la democrazia e travolgerebbe le basi stesse della sopravvivenza dello Stato democratico.

Di ciò consapevoli noi abbiamo sempre pensato – e oggi l’esperienza cilena ci rafforza in questa persuasione – che l’unità dei partiti dei lavoratori e delle forze di sinistra non è condizione sufficiente per garantire la difesa e il progresso della democrazia ove a questa unità si contrapponga un blocco dei partiti che si situano dal centro fino alla estrema destra.

Il problema politico centrale in Italia é stato, e rimane più che mai, proprio quello di evitare che si giunga a una saldatura stabile e organica tra il centro e la destra, a un largo fronte di tipo clerico-fascista e di riuscire invece a spostare le forze sociali e politiche che si situano al centro su posizioni coerentemente democratiche.

Ovviamente, l’unità, la forza politica ed elettorale delle sinistre e la sempre più solida intesa tra le loro diverse e autonome espressioni, sono la condizione indispensabile per mantenere nel paese una crescente pressione per il cambiamento e per determinarlo.

Ma sarebbe del tutto illusorio pensare che, anche se i partiti e le forze di sinistra riuscissero a raggiungere il 51% dei voti e della rappresentanza parlamentare (cosa che segnerebbe, di per sé, un grande passo avanti nei rapporti di forza tra i partiti in Italia), questo fatto garantirebbe la sopravvivenza e l’opera di un governo che fosse l’espressione di tale 51%.

Ecco perché‚ noi parliamo non di una alternativa di sinistra ma di una alternativa democratica, e cioè della prospettiva politica di una collaborazione e di una intesa delle forze popolari di ispirazione comunista e socialista con le forze popolari di ispirazione cattolica, oltre che con formazioni di altro orientamento democratico.

L’errore principale da cui bisogna guardarsi è quello di giudicare la Democrazia cristiana italiana, e anzi tutti i partiti che portano questo nome, quasi come una categoria astorica, quasi metafisica, per sua natura destinata, in definitiva, a essere o a divenire sempre e ovunque un partito schierato con la reazione.

Ed è davvero risibile che a ciò si riduca, nella sostanza, tutta l’analisi sulla Dc che ci viene data da gente che, con tanta spocchia, cerca di salire in cattedra per impartire a tutti lezioni di marxismo.

Naturalmente il nostro giudizio sulla Dc è ugualmente lontano da quello che di essa danno quei suoi dirigenti i quali, rovesciando il contenuto ma mantenendo il medesimo metodo astorico che ora abbiamo criticato, presentano la Dc come un partito che, per sua natura, sarebbe il garante delle libertà e l’alfiere del progresso democratico.

Tali essendo la realtà della Dc ed il punto a cui essa si trova oggi, è chiaro che il compito di un partito come il nostro non può essere che quello di isolare e sconfiggere drasticamente le tendenze che puntano o che possono essere tentate di puntare sulla contrapposizione e sulla spaccatura verticale del paese, o che comunque si ostinano in una posizione di pregiudiziale preclusione ideologica anticomunista, la quale rappresenta di per sé, in Italia, un incombente pericolo di scissione della nazione.

Si tratta, al contrario, di agire perché‚ pesino sempre di più, fino a prevalere, le tendenze che, con realismo storico e politico, riconoscono la necessità e la maturità di un dialogo costruttivo e di un’intesa tra tutte le forze popolari, senza che ciò significhi confusioni o rinuncia alle distinzioni e alle diversità ideali e politiche che contraddistinguono ciascuna di tali forze.

Certo, noi per primi comprendiamo che il cammino verso questa prospettiva non è facile né può essere frettoloso. Sappiamo anche bene quali e quante battaglie serrate e incalzanti sarà necessario condurre sui più vari piani, e non solo del nostro partito, con determinazione e con pazienza, per affermare questa prospettiva.

Ma non bisogna neppure credere che il tempo a disposizione sia indefinito. La gravità dei problemi del paese, le minacce sempre incombenti di avventure reazionarie e la necessità di aprire finalmente alla nazione una sicura via di sviluppo economico, di rinnovamento sociale e di progresso democratico rendono sempre più urgente e maturo che si giunga a quello che può essere definito il nuovo grande compromesso storico tra le forze che raccolgono e rappresentano la grande maggioranza del popolo italiano.

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