Ancora alcune cose
Con la pubblicazione quasi in parallelo di Dalla fede alla dignità, cioè delle “notazioni” di Gilberto Briani sull’articolo Il tentativo di dialogo e sulla postilla “politica” Temporale/spirituale, e dello scritto Della grazia, pensavo potesse ritenersi concluso, da parte mia, il confronto con le tematiche religiose che – è da decidersi se proficuamente o imprudentemente – avevo avviato il 22 luglio pubblicando Sereni: resto ateo.
Ma proprio mentre schiacciavo il tasto “pubblica” sotto le parole di Gilberto, rispetto alle quali a questo punto vorrei dire qualcosa, Eugenio Scalfari dava alle stampe il resoconto della conversazione avuta con il Pontefice, José Bergoglio.
Dunque ancora un po’ di pazienza prima che mi ritragga da territori che non mi appartengono, nei quali mi muovo da straniero, anzi, come un vero e proprio viandante solo di passaggio.
Certo non può lasciare indifferenti la guida spirituale di un miliardo di credenti sparsi per il mondo – tanti all’incirca sarebbero i cattolici – e di un’assai influente e potente istituzione – benché, come Stalin scherniva Pio XII, non disponga di un sufficiente numero di armare per far fronte al nazismo – il quale, alle due del pomeriggio, in prima persona, senza intermediari, chiama una segretaria e gli chiede di parlare con il suo capo, dando un appuntamento di lì a poche ore in una stanza disadorna con un tavolo e qualche sedia.
Sono proprio i dettagli e i gesti che colpiscono e dovrebbero richiamare l’attenzione. Già dalla prima telefonata i due si interrogano sulla possibilità di “abbracciarsi” (verbo sul quale rimando a un post qui) e al termine del loro colloquio lo fanno: «Ci abbracciamo», racconta Scalfari dopo aver raccolto la battuta del papa sulla sua breve esperienza con i gesuiti: «Ma è impossibile resistere ad un mese e mezzo di esercizi spirituali» gli dice il pontefice «stupefatto e divertito». (Ho un rimando anche riguardo gli esercizi spirituali, qui per chi fosse interessato).
Oppure il semplice bicchier d’acqua che al prelato resta intonso, mentre il giornalista lo termina, e par di leggere anche il garbo con cui la bevanda vien portata.
Seleziono alcune frasi del papa e le metto in fila, estrapolandole e quindi, perciò, forse manipolandole, ma mi sembrano meritevoli di nota:
«Le ricordo che la Chiesa è femminile».
«[…] si può vivere schiacciati sul presente? Senza memoria del passato e senza il desiderio di proiettarsi nel futuro costruendo un progetto, un avvenire, una famiglia? È possibile continuare così?»
«La Chiesa deve sentirsi responsabile sia delle anime sia dei corpi».
«Il proselitismo è una solenne sciocchezza, non ha senso. Bisogna conoscersi, ascoltarsi e far crescere la conoscenza del mondo che ci circonda. A me capita che dopo un incontro ho voglia di farne un altro perché nascono nuove idee e si scoprono nuovi bisogni. […]».
«Ciascuno ha una sua idea del Bene e del Male e deve scegliere di seguire il Bene e combattere il Male come lui li concepisce. Basterebbe questo per migliorare il mondo».
«[L’“agape” è] l’amore per gli altri, come il nostro Signore l’ha predicato. Non è proselitismo, è amore. Amore per il prossimo, lievito che serve al bene comune».
«L’agape, l’amore di ciascuno di noi verso tutti gli altri, dai più vicini fino ai più lontani […]».
Qui è Scalfari che gli ricorda che l’esortazione di Gesù «è che l’amore per il prossimo sia eguale a quello che abbiamo per noi stessi» e il fraintendimento che su questo concetto si fa con il narcisismo. Fraintendimento – chioso io – tanto del narciso, quanto di chi non ha ancora appreso bene quanto salutare sia per sé e per gli altri amarsi prima di amare anche a costo di un po’ di narcisismo, quanto, infine, di chi, pur di tenerti schiacciato, ti vorrebbe impedir di volare proprio accusandoti di narcisismo.
«[La] visione Vaticano-centrica trascura il mondo che ci circonda. Non condivido questa visione e farò di tutto per cambiarla. La Chiesa è o deve tornare ad essere una comunità del popolo di Dio […]».
Della teologia della liberazione, scomunicata da Wojtyla: «[…] molti di loro erano credenti e con un alto concetto di umanità».
«Capita anche a me, quando ho di fronte un clericale divento anticlericale di botto. Il clericalismo non dovrebbe aver niente a che vedere con il cristianesimo. […]».
«Una religione senza mistici è una filosofia».
«[…] Adoro i mistici; anche Francesco per molti aspetti della sua vita lo fu […]. Il mistico riesce a spogliarsi del fare, dei fatti, degli obiettivi e perfino della pastoralità missionaria e s’innalza fino a raggiungere la comunione con le Beatitudini. Brevi momenti che però riempiono l’intera vita ».
Quando Scalfari gli chiede se si sente toccato dalla grazia risponde: «Questo non può saperlo nessuno. La grazia non fa parte della coscienza, è la quantità di luce che abbiamo nell’anima, non di sapienza né di ragione. Anche lei, a sua totale insaputa, potrebbe essere toccato dalla grazia».
L’altro ribatte: «Senza fede? Non credente?»
«La grazia riguarda l’anima».
E Scalfari: «Io non credo all’anima».
«Non ci crede ma ce l’ha».
Francesco d’Assisi è «l’esempio più luminoso di quell’agape di cui parlavamo prima».
Aggiunge: «Francesco voleva un Ordine mendicante ed anche itinerante. Missionari in cerca di incontrare, ascoltare, dialogare, aiutare, diffondere fede e amore. Soprattutto amore. E vagheggiava una Chiesa povera che si prendesse cura degli altri, ricevesse aiuto materiale e lo utilizzasse per sostenere gli altri, con nessuna preoccupazione di se stessa [… è] la Chiesa che hanno predicato Gesù e i suoi discepoli».
Scalfari gli fa presente che solo un abitante del pianeta su sette è cristiano.
«Personalmente penso che essere una minoranza sia addirittura una forza. […] il nostro obiettivo non è il proselitismo ma l’ascolto dei bisogni, dei desideri, delle delusioni, della disperazione, della speranza. Dobbiamo ridare speranza ai giovani, aiutare i vecchi, aprire verso il futuro, diffondere l’amore. Poveri tra i poveri. Dobbiamo includere gli esclusi e predicare la pace. […]».
Aggiunge di aver l’umiltà e l’ambizione di voler riaprire il dialogo con i non credenti. E forse, come aveva detto prima, non per convertirli.
Purtroppo, dice ancora, l’egoismo «è aumentato e l’amore verso gli altri diminuito».
Dell’impegno civile e politico: «Non mi sono rivolto soltanto ai cattolici ma a tutti gli uomini di buona volontà. Ho detto che la politica è la prima delle attività civili ed ha un proprio campo d’azione che non è quello della religione. Le istituzioni politiche sono laiche per definizione e operano in sfere indipendenti. Questo l’hanno detto tutti i miei predecessori, almeno da molti anni in qua, sia pure con accenti diversi. Io credo che i cattolici impegnati nella politica hanno dentro di loro i valori della religione ma una loro matura coscienza e competenza per attuarli. La Chiesa non andrà mai oltre il compito di esprimere e diffondere i suoi valori, almeno fin quando io sarò qui».
E riconosce che la Chiesa «Non è quasi mai stata così».
Del credere o aver fede: «E io credo in Dio. Non in un Dio cattolico, non esiste un Dio cattolico, esiste Dio. […] il Padre, Abbà […]».
«Personalmente penso che il cosiddetto liberismo selvaggio non faccia che rendere i forti più forti, i deboli più deboli e gli esclusi più esclusi. Ci vuole grande libertà, nessuna discriminazione, non demagogia e molto amore. Ci vogliono regole di comportamento ed anche, se fosse necessario, interventi diretti dello Stato per correggere le disuguaglianze più intollerabili».
C’è molto di più di quello che sarebbe il minimo indispensabile per condividere pratiche quotidiane e decisioni in merito alla vita in comune che definiamo politica.
Per cominciare a far sì che, siccome mi amo e spero di non dovermi mai trovare a salire su una carretta che attraversa il mare in cerca di cibo, mi spendo perché nessuno sia costretto a fare altrettanto.
Si badi bene: costretto. Le libere scelte altrui, anche se diverse e fintanto che non diventano a loro volta costrizioni, vanno amate e protette come le proprie bizzarrie, accettando, come suggeriva Voltaire, di esser pronti a dare la propria vita, o salire in croce se si preferisce, perché possa esprimere la propria idea anche quello la cui idea non ci piace.
E qui mi ricollego alle considerazioni di Gilberto Briani in Dalla fede alla dignità.
Condivido pienamente il suo invito a privilegiare ciò che unisce su ciò che divide, e ancor più ciò che è proficuo, utile e salutare acciocché gli individui stiano meglio anziché ciò che può contrapporli e spingerli a disperdersi in attività che li facciano stare peggio.
Non credo quindi che ci sia alcun bisogno di voler convertire e nemmeno evangelizzare, si può persuadere se le argomentazioni che si portano sono persuasive, se risultano più convincenti di quelle a cui replicano.
Condivido pienamente la sua convinzione che «dobbiamo tutti, credenti o non, lavorare per guadagnare il pane quotidiano, dobbiamo tutti compiere il nostro ciclo dell’esistenza fino alla sua fine naturale con tutto il conseguente carico di responsabilità verso noi stessi e gli altri». O quasi pienamente.
Perché io per esempio ritengo che un individuo abbia il diritto, e gli vada garantito sentendosi liberi di non beneficiarne, di «compiere il proprio ciclo dell’esistenza fino alla sua fine» che è nelle proprio mani, ovviamente «con tutto il conseguente carico di responsabilità verso noi stessi e gli altri», come ci hanno dato a intendere, poche ore fa Carlo Lizzani e, per certi versi, lo scorso anno, Carlo Maria Martini a cui tanto Scalfari quanto Bergoglio fanno così affettuosamente riferimento.
Ma ritengo che temi come questo – schematizzando quello dell’eutanasia – o delle coppie di fatto, o dell’adozione da parte dei single, o dei diritti di chi ha sessualità diverse dalla mia, o degli usi e delle tradizioni di chi ha credo diversi, sui quali è assai probabile che un’impostazione religiosa anziché una laica divergano, pur non essendo i primi da mettere all’ordine del giorno – ché quello del pane da guadagnare o del diritto a non morire su un barcone sovrastano di gran lunga – meritino il confronto, il dialogo, la reciproca comprensione, i quali sono impossibili se i dialoganti non hanno ben definito la loro posizione, il loro punto di vista.
Perciò, per rispondere a Gilberto, sono pronto, come del resto ho fatto per molto tempo nella mia vita, a lasciar da parte il «nocciolo duro a cui nessuno può rinunciare» presente «al fondo dei due sistemi», sapendo però che proprio lì sta la base di argomenti che possono unire e di altri che possono dividere.
Vorrei insomma che il mio definirmi serenamente ateo non sia preso come un insulto da chi serenamente crede – e siano lecite entrambe le scelte –, ma un modo per conoscermi per quello che sono, senza trucchi da tirar fuori all’ultimo momento. Nessun vessillo da sventolare baldanzosi, una carta d’identità.
Senza un’identità è impossibile una responsabilità, e senza responsabilità è impossibile la scelta tra bene e male di cui parla così bene Bergoglio. Io credo che la Dignità della persona inizi lì: lui e non un altro. Io, non tu. Tu, non io. Per quanto potremo insieme. Ma con me, con te.