Dall’amore a Occidente

Una pagina di vocabolario di Dario Longo

Una pagina di vocabolario di Dario Longo

«Io voglio la parola amore», ho imperiosamente detto, dinanzi al vicepresidente del Senato, a Dario Longo quando, alla presentazione di Sempre più verso Occidente a Pistoia, ha illustrato la sua installazione ispirata ad Amore in buca, sei metri da sarto, lettere dell’alfabeto perfettamente intagliate in legno che lui definirebbe povero o da riciclo ed io invece ciarpame o cianfrusaglia, e che penzolavano come impiccati a una forca nello Spazio di via dell’Ospizio; e poi una cassetta della posta, rossa come una cabina telefonica britannica, entro la quale giacevano i testi, le fusioni, insomma cinque lettere impresse nel piombo, scavate o estrapolate, che messe insieme componevano la parola amore; cassetta della posta dal cui sportello penzolava come impiccato alla forca – pronto a infastidire, come mosca nell’orecchio, il vicepresidente del Senato durante le sue intelligenti considerazioni sul libercolo e su una reciproca stima pluridecennale – un timbro inciso in francese, premendo il quale compariva la scritta in francese “destinataire partì”, perdù, senza più destino. Scritta impressa anche all’interno della buca, la quale come si evince dal titolo del racconto, non è solo una cassetta, ma anche un tonfo, una caduta, un “occidente”. Quando sono andato dall’artista a reclamar la mia parola di affamato di parole e d’amore, lui era già stato rapito dai suoi assalitori e l’unica parola strappata al vocabolario che ha potuto concedermi è stata “occidente”. La esporrò in bella mostra.

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