A lezione, ma da chi?

Avendo io pagato la quota annuale 2014 di iscrizione all’Albo dei giornalisti, l’Ordine mi ha inviato per posta il bollino da apporre alla tessera professionale (ho una faccia da bambino nella foto, era il 1982 quando è stata scattata e il 1983 quand’è stata apposta, e fa 31, tolti quelli della gavetta), con quella dell’Anpi, Associazione dei partigiani, l’unica che conservo nel portafogli. Orbene il bollino adesivo si trovava su un cartoncino sul quale è stata stampata questa frase attribuita a Indro Montanelli, quello, tra le altre cose, del “turiamoci il naso”: «Il giornalismo lo si fa per il giornalismo, per il piacere di farlo. È difficile farlo bene, a volte è anche pericoloso. Il bello di questo mestiere è che si affronta un esame ogni giorno».

Bella frase, a effetto, di cui comprendo il significato profondo e non stento a condividerla, benché a quanto ne sappia nemmeno Indro Montanelli, o per far altri nomi Giorgio Bocca o Enzo Biagi, abbiano mai rinunciato al compenso economico che peraltro proprio l’Ordine dei giornalisti sarebbe tenuto a verificare che venga corrisposto a fronte dell’articolo scritto o del lavoro svolto, ed anche proporzionalmente alle tariffe dei compensi stabilite d’intesa con gli editori.

Credo che ogni mestiere si debba, per una parte almeno, farlo “per il piacere di farlo” o per amore, e di più per il piacere di farlo bene, e che tirar su un muro di mattoni o cavar patate dalla terra o, avendo più fortuna, intervistando l’ultimo Nobel per la fisica, abbia oltre all’aggravio del sudore della fronte, il beneficio della casa che vien su, del purè o dell’estasi dinanzi al genio. Di qui a deprezzarne il ruolo ce ne corre.

Se noto qualcosa di anomalo e mi sento di segnalare la faccenda è perché contemporaneamente mi è giunta sempre dall’Ordine dei giornalisti la periodica e-mail che viene spedita agli iscritti, dalla quale ricevo conferma di una notizia d’interesse della categoria che m’era già capitato di leggere altrove, non ricordo più dove.

Dal 1 gennaio 2014, apprendo, secondo quanto disposto dal Ministero della Giustizia, per tutti i giornalisti – professionisti, pubblicisti, e non si comprende se occupati o disoccupati, ma anche pensionati se ancora in attività – è obbligatorio, pena incorrere in provvedimenti disciplinari, frequentare corsi, seminari o eventi riconosciuti come formativi dall’Ordine dei Giornalisti.

Adeguando la categoria a quel che certamente avviene quanto meno nel pubblico impiego, questa formazione professionale, o più esattamente questo aggiornamento professionale, vien misurato, con un’espressione fastidiosamente bancaria, anzi da ragioniere, in “crediti formativi” (senza che si ragioni, a rigor di pluridecantate leggi di mercato, di “debiti formativi”) e leggo che nella fattispecie di questi crediti (più esattamente punti, in stil patente) se ne devono accumulare (o meritare si sarebbe detto ai tempi della scuola) quanto meno 15 all’anno e nel corso di un triennio 60 in tutto.

Nell’e-mail di cui ho riferito constato che un credito lo si conquista facendo i bravi per una mezz’ora: “Ogni ora di partecipazione ad attività di formazione – leggo senza prestar atten-zione alla ripeti-zione della desinenza di partecipa-zione e forma-zione – darà diritto a 2 crediti”, per cui con 30 ore si son espiate le proprie colpe, ma si deve aver lo scrupolo che 15 punti almeno derivino dall’aggiornamento su temi deontologici e pare che a questo scopo l’Ordine stia predisponendo un corso online per accedere al quale si deve avere la Pec, la posta certificata.

Leggo inoltre che sarebbero giunte numerose proposte “da enti pubblici, privati e agenzie di formazione: tra queste ci sono anche l’Università di Siena, l’Università di Pisa e l’Associazione Stampa Toscana”. Ed ancora che i temi proposti per questa formazione “spaziano dalla deontologia, alle nuove forme di giornalismo, dall’uso degli strumenti di comunicazione giornalistica, a foto e riprese video”. Infine che i corsi di formazione dovrebbero partire a marzo e “quelli sulla deontologia saranno gratuiti mentre gli altri avranno un costo di partecipazione”.

Ah, ecco! Questo è il punto interessante. Anziché leggere, studiare, approfondire, come ogni giornalista dovrà fare, potremmo dar da mangiare a qualcuno che viene dalla Bocconi e ci spiega come si fa e che ci dice che sul web si scrive con i • a inizio capoverso per evidenziare e richiamar l’attenzione.

Alcuni anni fa mi è capitato di entrare (invano) a gamba tesa su come l’Ordine e l’Università s’erano ingegnati – nell’ilare incomprensione di chi in politica si occupa di aggiornamento professionale, università e informazione – di stilar l’elenco dei docenti a cui far insegnare come perfezionarsi in giornalismo: i criteri adottati, naturalmente, erano l’adesione alla loggia o la vicinanza all’altare.

Per cui ora temo un po’ di dovermi rimettere sui banchi a farmi esaminare per poter stare, a norma di legge, nell’Ordine che regola la mia professione.

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One Response to “A lezione, ma da chi?”

  1. Stefano Tesi scrive:

    Telepatia: mentre scrivevi quanto sopra stavo discettando con alcuni colleghi sul medesimo argomento. Premetto di avere un’autentica idiosincrasia per il concetto di formazione, al quale preferisco di gran lunga quello di apprendimento. Formazione mi sa di addestramento (d’uomini o di animali), in versione eufemistica. A ciò si aggiunge il sospetto, velato di certezza, che il termine sia nella stragrande maggioranza dei casi il paravento di un fiorente business basato sulla burocratizzazione dell’esistenza e sull’asseverazione dell’inesistente. Chiamiamola industria dell’ovvio: spiego agli arrotini – a pagamento, si capisce – che dalla parte della lama il coltello taglia, spiego ai taglialegna che la motosega è pericolosa, etc.
    La sgradevole (ne convengo) espressione “crediti” presume appunto l’esistenza di “debiti”. Dettati però nella categoria non tanto da vuoti sopraggiunti, ma da carenze implicite del modesto (nei professionisti) e inesistente (nei pubblicisti) metodo di verifica delle competenze al momento dell’ammissione nell’OdG.
    A ciò si tenta di rimediare, complici le ipocrite fanfaluche comunitarie, esattamente come quando si alza ad hoc la soglia massima di atrazina contenuta nell’acqua per renderla potabile: creando onerose opportunità di raccolta di crediti formativi che verniciano da sapienti gli ignoranti.
    Ti è forse sfuggita, però, la parte più grottesca della storia: e cioè che i crediti de quo si possono ottenere non solo frequentando certe lezioni, ma…dandole. Cioè facendo il docente.
    Pensa bene al cortocircuito: pur essendo io un ignorante, in quanto appartenente a una categoria che, in quanto soggetta ad obbligo di aggiornamento, è perciò stesso riconosciuta composta di ignoranti, posso affrancarmi dall’ignoranza insegnando agli altri ciò che per l’assunto medesimo non so. Perchè, se sapessi, sarei l’eccezione che negherebbe la necessità collettiva di (ri)formazione.
    Dunque mi accingo a pagare l’ennesimo obolo triennale all’inutilità, pensando che almeno farà guadagnare qualcuno.
    mi sono sfogato in passato scrivendone qui ( http://blog.stefanotesi.it/?p=1555) e qui (http://blog.stefanotesi.it/?p=2476).
    Ah, non ho parlato della gratuità delle discenze deontologiche.
    Ce n’è bisogno?

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