Gentilezza rivoluzionaria
Ho condiviso su Facebook dalla bacheca di non ricordo più chi, e me ne scuso, una fotografia, scattata quasi certamente in un ambiente studentesco, su cui spicca la scritta: «La gentilezza è rivoluzionaria».
Gli apprezzamenti registrati mi inducono a credere che la gentilezza sia ambita e, perciò, probabilmente rara, ma anche che la rivoluzione non sia sempre terrifica come invece si è soliti pensare, e che già solo pronunciando il suo nome s’ingeneri il panico.
Al che mi si è accesa una lampadina: se il buon vecchio Carletto (per i digiuni Marx), invece di dire che una rivoluzione sarebbe stata necessaria (e, peggio mi sento, il suo sbocco la dittatura proletaria), si fosse limitato a registrare, come puntualmente ha fatto, che nel corso dell’esistenza umana, da che se ne ha traccia, niente era avvenuto se non a scossoni, ed aveva torto chi – come Aristotele, e forse anche Zenone e Pitagora, e poi Leibniz e Carl von Linné – categoricamente affermava che “natura non facit saltus”, la natura non fa salti, procede gradualmente, con una lenta evoluzione, senza tagli netti, ma attraverso fasi intermedie, in modo progressivo ed ordinato; se il buon vecchio Carletto, insomma, lì si fosse fermato, corroborato da altri scienziati che invece proprio nella natura – dagli atomi alle glaciazioni agli istinti animali – i salti li vedono eccome, forse oggi avremmo meno paura di cambiare e, come ci insegnano le ostetriche dell’animo o gli ermeneuti dell’inconscio, di lasciare il certo per l’incerto (che non è la luce per le tenebre, ma il crogiolarsi nella parvenza di giorno a favore dell’illuminar la notte ma vedendo anche le ombre).
Intendo dire che forse esiste, concettualmente almeno, lo spazio per un mutamento radicale, si direbbe un quarantotto, che non venga associato in quattro e quattr’otto al numero novanta, il quale, com’è noto, identifica la paura, uno scombussolamento da capo a piedi privo di tremore, non un terremoto ma un sisma, ed anche con il prima uno scisma.
E allora eccola la rivolta, le barricate, il tumulto, il furor di popolo, la sollevazione, l’insorgenza e la ribellione, fatta questa volta di buongiorno e buonasera, prego passi prima lei, si accomodi, gradisce un tè?, sarei lieto di averla mio ospite, e poi abbracci, carezze e all’occorrenza anche baci, e poi inchini, salamelecchi e genuflessioni, toni pacati, voci suadenti, garbate maniere, ditelo con un fiore e una sana stretta di mano fino all’estinguersi dell’oppressione dell’uomo sull’uomo che è ciò che Carletto diceva di volere.
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