Hotel storia
Su l’Unità di venerdì 11 aprile Vittorio Emiliani si è fatto portavoce di quanti trovano scandaloso che prenda il nome di “Grand Hotel Gramsci” l’albergo che aprirà i battenti nell’edificio di Torino dove il fondatore di quel giornale per il quale mi pregio di aver lavorato, abitò e aprì la redazione del periodico L’Ordine Nuovo.
Io comprendo questo sdegno, o meglio, la sofferenza di chi assiste a un mondo dove ormai si vende di tutto e l’unica molla di qualsiasi cosa è appunto solo vendere e non c’è più spazio per nient’altro e chi vorrebbe invece veder anche cose diverse dal profitto risulta immediatamente essere uno fuori di testa e da mettere in un angolo dove non disturbi, per cui trova irriverente usar come fosse il marchio della Coca Cola o il logo della Nike il cognome del sardo che proposte a Livorno nel 1921 la scissione dal partito socialista per metter su il Pci che poi alla fine degli anni Ottanta è stato comprensibilmente seppellito e non ha purtroppo germogliato qualcosa che faccia sperare in un che di buono e meritevole per cui spendersi, ma solo, e salvo qualche caso raro, combriccole di furbetti, inetti, superficiali, ipocriti.
Comprendo quella sofferenza ma me ne faccio una ragione, un fine mi verrebbe da dire, come fosse quello che il principe del Machiavelli rivisitato proprio dal gobbo di Ales invitava a perseguire sacrificando all’occorrenza qualche mezzo.
Mi spiego meglio: trovo che far sapere in giro per il mondo anche solo a chi cerca un comodo letto, una tavola ben imbandita, magari una sauna dove riprendersi dopo aver passeggiato al Valentino o in piazza San Carlo, che a Torino, in Italia, è vissuto un gran intellettuale e un gran rivoluzionario, di più, un rivoluzionario capace anche di indicare una strada democratica, un uomo che ha pagato col carcere prima e la morte poi le convinzioni che s’era fatto, male non faccia, anche se a fine giornata il conto ammonta a qualche centinaia di euro.
Il sindaco di Torino è del Pd e in quella città, che è la mia natale e che io trovo bellissima, pur con una maggioranza così orientata, non si è stati in grado o non si è voluto impedire che un edificio cambiasse destinazione d’uso, o non si è riusciti a sovrapporvi un vincolo che ne salvaguardasse il valore storico a discapito di quello, pur rispettabile, economico e redditizio. Questo potrebbe essere il vero problema, quello di non aver protetto il palazzo, non ora quello di stabilire che nome deve avere. E in fin dei conti meglio appunto che abbia un nome che ricorda quel che è stato che non Sunshine in Turin.
Se un giorno dovessi tornare ad avere qualche soldo per permettermi un lusso, andrò a passare una notte in quel Grand Hotel di piazza Carlo Emanuele II che tutti i torinesi chiamano piazza Carlina, e lì canterò, lo prometto, l’internazionale.
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Condivido solo in parte il suo pensiero.
Uno dei luoghi più amati da noi torinesi, e da me in assoluto, Piazza Carlina.
Lei così austera e al contempo accogliente, tacita provinciale un po’ borghese.
In quella piazza si può carezzare Torino, la sua essenza; pizzicando idealmente la punta della Mole… quella Mole che noi, quasi, ignoriamo.
Lei scrive che il male minore di questa orrenda faccenda “finanziaria” è titolare l’albergo a uno dei più illustri pensatori e politici del secolo scorso, Gramsci Antonio, che fra quelle mura ha vissuto per un certo periodo.
Immagina che lo stesso nome possa rammentare, ai ricchi futuri avventori (solo per questo trattasi di ossimoro), le gesta e i pensieri di un uomo importante, qual è stato Gramsci.
Io credo che si tratti di una visione, la sua, “romanticamente fuori moda” che nulla ha a che vedere con i tempi che viviamo.
Tempi mordi e fuggi, tempi senza memoria.
Sa cosa capiterà, secondo me, fra una decina di anni?
Il ragazzino in visita a Torino, che avrà la fortuna di pernottare a casa di Gramsci, penserà al nome dell’albergo con lo stesso trasporto con cui oggi pronuncia: Coca Cola.
Sarà bello sentir lei cantare l’internazionale.
Cara Loredana, che per l’occasione e data la serietà della “quistione”, come scriveva Gramsci, hai deciso di darmi del lei, e su cui confido per i miei legami in terra d’origine, fra dieci anni sospetto che non ci sarò più o in procinto d’andarmene, e pensi quel che vuole il ragazzino in visita a Torino a veder, magari, il negozio della Juve. Eppure avete ben preservato Baratti e Leone, i nomi di tutti i Savoia che ci faccio una certa confusione a rammentarli tutti, e al Valentino suppongo teniate ancora custodita una 500, una 600, una 1100, una 124 e anche una Giardinetta. E allora perché non lasciar anche il nome del grande pensatore?
La seria quistione, qui, tende a divenir confusa e ciò m’induce a sostituire il “Lei” con un meno formale, ma altrettanto raffinato e garbato “Voi”.
È mia volontà porre, inoltre, una discreta distanza dai vari monarchi et monarchici.
Daniele, mio caro, Voi meschiate diverse realtà.
Cosa di non poco conto è la “torinesità” che ancora si respira e altro è il “merchandising” praticato su un palazzo storico sfruttando, così, il nome dell’insigne Uomo che lì dimorò.
Voi citate Baratti (io “Le Golose” Barattine), le sempre profumate e celeberrime pastiglie della Leone così come il Valentino con il suo Museo Nazionale dell’Automobile, è vero; tutto ciò è stato ben preservato a differenza, appunto, di quel palazzo in Piazza Carlina che poteva e doveva avere una destinazione d’uso assai diversa.
È in virtù di queste differenze e del fattaccio ormai compiuto ch’io mi domando: perché non chiamare il futuro “ostello per ricchi”, per esempio, Hotel Billo Birillo e porre nell’atrio una targa che ricordi Antonio Gramsci?
L’effetto indifferenza, a parer mio, sarebbe lo stesso.