Gab, in dieci righe
Non ho proprio la mente tarata per le ricorrenze. Per cui devo ringraziare mio fratello Andrea, erede delle passioni politiche di due generazioni, che in un qualche file riposto in un qualche angolo mi ha sovvenuto che oggi dieci anni fa. Mi sembra ieri. Mi sembra ieri, anzi, molto tempo prima, non oggi dieci anni fa quando Gabriele Capelli ci ha lasciato, ma il primo giorno che impugnando un puzzolente pennarello nero fece un sacco di freghi su quelle cartelle che gli consegnai, primordiali manufatti d’un mestiere che per intero ho imparato da lui. E gli stessi bérci e le bestemmie con cui accompagnò quella carneficina di righe e parole e frasi, una vera merda quella breve, quel trafiletto, quel pezzo, forse lo stesso necrologio che ho scritto per dirgli addio il 22 aprile del 2004: «Contro la bestialità gli stessi dèi lottano invano», un verso di Schiller anche quello insegnatomi da lui per infondermi un po’ di coraggio o quanto meno la capacità della rassegnazione. Un rapporto non facile il nostro, di virili durezze, o esposizione di petto, forse qualche ripicca, qualcosa addirittura di non ammissibile, eppure tenace, non escludo con malumori talvolta e forse anche questo ha contato nel tenermi in un margine a cui non mi sottraggo e neanche lui, penso, l’avrebbe fatto. Sì, mi piacerebbe che un giorno qualcuno, fuori dalle agiografie, tentasse di rendere omaggio a Gabriele raccontandolo con la sintassi asciutta alla quale ci ha abituato, a quel sottrarsi dallo scrivere che ci ha privato di un pezzo di lui. E nel farlo mi chiedesse i miei aneddoti di tutti quegli anni assieme, pieni di durezze e, da parte mia, di un grande affetto.
Tags: Gabriele Capelli, l'Unità
Se sono stato io, il “file” servito ad Andrea per farti scrivere queste righe, ne sono davvero felice. Perché lo descrivi davvero per quello che è. Lontano dalla retorica. Semplicemente con quel pezzetto di lui che ha lasciato in ognuno di noi. E in ognuno diverso.