Oggetto del desiderio

La svolta è giunta dopo pagina 57. L’inizio è stato duro. Difficile. Inaccessibile, mi verrebbe da dire, come di una materia che non si lasci penetrare e opponga resistenza. Poi mi ha preso e non riuscivo più a staccarmi. Mi sono trovato quasi a volare su quei capitoli, a saltabeccare fra i paragrafi e per quanto mi concentrassi e non perdessi il senso di nulla di quanto stavo leggendo, era come se lo sfogliassi, rapido, veloce, svolazzante, comprendendo cosa appunto possono fare delle foglie rapite dal vento una volta perso il loro legame con il gambo.

Tutto allora ha iniziato a filar liscio, levigato avrei potuto dire, sì qualcosa di energicamente piallato prima e finemente cartavetrato poi, che vien voglia di percorrere per tutta la sua lunghezza con la mano per saggiarne la consistenza e la scorrevolezza, l’assenza di asperità e ostacoli, benché si possa ancora percepire l’irregolarità delle venature, lo sviluppo a strati, quasi un ribollire che pian piano ha preso forma alternando avvalli a insenature, espirazioni ad ispirazioni e sali a scendi.

C’era qualcosa di vitale, come una linfa, che scorreva fra quanto avevo in mano, la mano stessa e poi ancora i miei occhi, le mie tempie, le orbite, la fronte, i bulbi e l’intero emisfero entro il quale il cervello stava nutrendosi come un passerotto appollaiato su un ramo che scarnifichi lì la corteccia in cerca di un insettino infiltratosi fra le pieghe e in quei solchi tenti invano di trovar riparo.

Mi prese impetuoso il desiderio di andare avanti, o più esattamente di entrar sempre più in profondità ed appropriarmi, ma senza alcun arbitrio o mira possessiva, di quanto allignava nella fibra, là dove un tempo forse aveva attecchito un semplice seme gettato quasi per caso o trasportato da chissà dove e in definitiva casualmente nutrito nemmen d’acqua, solo di rugiada, o appena appena il lascito d’una nube già trascorsa ed emigrata lontano, col pietoso ma distante aiuto d’un raggio di sole, miliardi di chilometri trascorsi prima di stemperarsi a fine di un viaggio a forma di baleno.

Confesso: m’ero già cimentato in quell’impresa un’altra volta e avevo scelto la strada più tortuosa, quella in lingua originale, incurante delle asperità che avrei trovato lungo il cammino, ma la presunzione era presto naufragata come avviene il più delle volte quando si ha in animo solo di primeggiare e mettere in mostra se stessi, anziché vivere quel che si sceglie, nobile o immondo che sia, purché nostro dalla sommità alle radici, fra le fronde perdute lassù in cielo e i rizomi sprofondati laggiù a trarre nutrimento e succhiare quel che si trova.

Pensavo che tradurre fosse un gioco da ragazzi, come altalenarsi o sporgersi da un ramo, e pertanto avrei giurato che the real story of a tree si potesse scrivere anche the true story of a tree facendo suonare true e tree più di come facciano d’autunno sugli alberi le foglie che altrove si dice blowing in the wind.

L'opera di Giovanni De Gara

Era quello il titolo che avevo letto impresso in copertina al mio primo approccio in lingua originale, the real story of a tree, e adesso che lo leggevo invece nel mio idioma, o parlando come mangio, la vera storia d’un albero, la poesia andava a perdersi, ma il senso esatto mi era più chiaro, e decisi di tenermi lontano da interpretazioni che rimandassero al polline libero nell’aria che va a posarsi vai a sapere dove e i gameti e quelle faccende lì di ovuli e spermatozoi vegetariani o vegani niente a che fare con le bistecche o anche solo con omlette e frittate; va a posarsi vai a sapere dove, poi diventa un arbusto che rigoglioso scava nel terreno fino a perforarlo tutto e sbocciare inerpicandosi su come uno proteso al cielo e desideroso d’assoluto e allora l’abete, la quercia, l’olmo, il salice, forse la sequoia, una miriade, interi boschi e foreste e anidride carbonica e ossigeno e clorofilla, resine, stille, poi assi, tavole, trucioli e così via, che sia questa the true story of a tree?

O più probabilmente, come io ho creduto, entrando in quelle pagine che non ci sono e aprendo quella copertina che non si apre, lisciando la costola come fino a ieri avevo fatto sugli scaffali che quegli oggetti ospitano davvero, un tuffo nella mia infanzia, quando lessi uno dei primi libri che mi hanno aperto il mondo e al mondo, la storia di un bambino che protesta e tiene duro per tutta la vita e sale su un albero e si ritrae ma senza perdere il contatto insomma senza astrarsi, spingendomi a tentare, con il mio amico d’infanzia, Luca Ronchetti, sul dosso di Baselga di Piné in Trentino, a traversarne una trentina d’alberi d’alto fusto senza mai mettere piede per terra, là dove costruimmo un rifugio dal quale poi siamo dovuti scendere e siamo ancora qua.

Il Barone rampante

Quel libro è Il barone rampante di Italo Calvino, mentre the real story of a tree o la vera storia d’un albero è di Giovanni De Gara, eclettico artista che ha lo studio in via San Niccolò a Firenze dove ho vissuto alcuni dei momenti più belli della mia vita. Quella semplice ma significativa opera d’arte mi è stata regalata da Carolina Doni.

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2 Responses to “Oggetto del desiderio”

  1. mario strippini scrive:

    conoscerai il libro circolare di mario mariotti visto ma non letto .affettuosi saluti .strippini

  2. Daniele Pugliese scrive:

    No, ma posso chiedere a sua figlia Francesca

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