Maggio inizia così

Il Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo

Il Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo

Su Facebook, intervenendo in un dialogo multilingue scaturito dalla pubblicazione del mio post sull’iniquità retributiva, l’avita amica Ornella Galeotti, con cui di tanto in tanto ho puntuti battibecchi da aquila e non da gallina, e reciproci indispettiti scatti d’allontanamento, o scosse del collo come in cavalli imbizzarriti, l’equino rapace al femminile, un centauro, una sirena, un unicorno, giustamente – intendendosi oltre che di politica, di storia e di musica anche di giustizia – mi fa le pulci sulla risposta che, nel summenzionato post del blog che gulp fa gasp, ho dato al commento della signora Rossella Cecchini, stimata infermiera e ritrovata compagna nonché ahilei pluri-intervistata.

Alla kamarad che in un P.S. mi scriveva d’esser arrabbiata come un cane colla bava alla bocca «con chi crede che il 1° maggio non sia più la festa dei lavoratori ma dei commercianti»,  anch’io in P.S. – che non è pubblica sicurezza bensì post scriptum – replicavo che per quanto mi pertiene onoro addirittura col plurale maiestatis il 1 maggio, festa delle operaie bruciate. Ed ecco l’azzeccagarbugli, l’editing, la correzione di bozze della scassapalle in diritto uscita dal bestiario fantastico:

«A proposito del 1 maggio: non è la commemorazione delle operaie bruciate (…) . Quella è l’8 marzo. Il 1 maggio si commemora una manifestazione di operai che fini nel sangue: ”Il 1 Maggio 1886 cadeva di sabato, allora giornata lavorativa, ma in dodicimila fabbriche degli Stati Uniti 400 mila lavoratori incrociarono le braccia. Nella sola Chicago scioperarono e parteciparono al grande corteo in 80 mila. Tutto si svolse pacificamente, ma nei giorni successivi scioperi e manifestazioni proseguirono e nelle principali città industriali americane la tensione si fece sempre più acuta. Il lunedì la polizia fece fuoco contro i dimostranti radunati davanti ad una fabbrica per protestare contro i licenziamenti, provocando quattro morti. Per protesta fu indetta una manifestazione per il giorno dopo, durante la quale, mentre la polizia si avvicinava al palco degli oratori per interrompere il comizio, fu lanciata una bomba. I poliziotti aprirono il fuoco sulla folla. Alla fine si contarono otto morti e numerosi feriti. Il giorno dopo a Milwaukee la polizia sparò contro i manifestanti (operai polacchi) provocando nove vittime. Una feroce ondata repressiva si abbatté contro le organizzazioni sindacali e politiche dei lavoratori, le cui sedi furono devastate e chiuse e i cui dirigenti vennero arrestati. Per i fatti di Chicago furono condannati a morte otto noti esponenti anarchici malgrado non ci fossero prove della loro partecipazione all’attentato. Due di loro ebbero la pena commutata in ergastolo, uno venne trovato morto in cella, gli altri quattro furono impiccati in carcere l’11 novembre 1887. Il ricordo dei martiri di Chicago era diventato simbolo di lotta per le otto ore e riviveva nella giornata ad essa dedicata: il 1 Maggio”».

Come darle torto e non anche l’ultima parola? Citarla, oltre che ripristinar giustizia, ristabilir verità, riportar ordine, dar testimonianza, scontar pena, è un atto dovuto come quello d’un magistrato venuto a conoscenza dei fatti, che mi consente peraltro di dir la mia sulla ricorrenza odierna. Sento molte persone lamentar la retorica delle celebrazioni e della coazione a ripetere, allontanarsi dal rito e dalla gestualità, dal trito e ritrito. Tutte cose per le quali non ho mai avuto gran simpatia, a principiar dai compleanni, dagli onomastici, dagli anniversari di nozze, dalle date di morte, dalle feste comandate. Vi sono tuttavia significati e valori che, perdendosi sempre di più come il congiuntivo nel parlato, i panda in Mongolia, gli ebrei in lager, gli indios nel Caribe, e altre specie animali e vegetali e d’ogni altro tipo, o il rispetto di certe norme, consuetudini, premure, semplici lungimiranze, talvolta nemmen scritte, van ripristinati, o difesi, o protetti o accuditi o conservati o resistiti o riesumati finanche posti in una teca, registrati in un video, impressi con l’inchiostro.

E poi, dati i tempi, val la pena ricordare l’articolo 1 della Costituzione: «L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». Meditate, gente, meditate.

Ecco, questo è il mio primo maggio: benvengamaggio e il gonfalone amico, ben venga primavera. Oppure, se preferite, c’è la canzone del maggio.

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