L’intrusa
Mark Zuckerberg
Facebook, Inc.
Menlo Park
California, USA
Gentile signor Zuckerberg,
confido nel suo cognome che, tradotto nella mia lingua, significa “montagna (berg) di zucchero (zucker)”, e perciò testimonia della sua dolcezza, anzi dell’immensità della sua dolcezza, che non può non essere anche bontà o, come a qualcuno di noi verrebbe in mente di dire, misericordia.
La miṡericòrdia, che senz’altro fonde le parole latine con cui si indicano la povertà e il cuore, è quel sentimento di compassione per l’infelicità altrui, che spinge ad agire per alleviarla; ovvero il sentimento di pietà che muove a soccorrere, a perdonare, a desistere da una punizione nei confronti di un proprio simile, forse in virtù della percezione che quel suo stato d’animo nel quale si trova oggi, domani potrebbe essere il proprio e noi stessi si rischi di patire quelle sofferenze.
Non so se nella sua lingua per indicare tal sentimento ci si avvalga del termine graciousness, oppure mercifulness, ma leggo anche mercy, misericord, pitifulness e pity, in ogni caso non credo abbia difficoltà a comprendere la potenza di quanto racchiude la parola che le ho appena proposto in italiano, misericordia appunto, la quale sono certa risieda nel suo cuore non solo in virtù del cognome che lei porta, ma anche per la sua conformazione caratteriale, per così dire il Dna che di cui è composto e la somma delle emozioni che ha collezionato nel corso della sua esistenza e costituiscono oggi la sua personalità.
E pertanto sono certa possa accogliere con virile coraggio e femminile accudimento la richiesta che sto per avanzarle, il desiderio di una donna già punita dalla sorte, martoriata nella parte più profonda di sé, condannata senza appello al dolore e alla sofferenza.
… non c’è più e le ragioni della sua morte e i sentimenti che questa mi ha suscitato spero di essere riuscita ad illustrarli in un racconto intitolato L’ingrato, che è stato pubblicato nel libro di Daniele Pugliese Sempre più verso Occidente edito dalla Baskerville.
Non le do perciò qui conto oltre modo della mia disperazione e del senso di smarrimento in compagnia dei quali mi arrabatto ogni giorno per darmi una ragione di vita e una parvenza di normalità che non turbi l’altrui quiete e l’affaccendarsi intontolito di quanti mi stan d’intorno, ma mi appello appunto alla sua bontà e al potere di cui lei dispone ed alla carica che ricopre in quell’impresa da lei escogitata per mettere in relazione le persone tra loro anche a notevole distanza, ricordandosi i propri volti come si può fare negli album a cui i campus americani affidano la memoria di tutti gli studenti che hanno preso parte ad un determinato anno scolastico, usanza alla quale dalle nostre parti, un tempo almeno, si preferiva quella dello scatto che ritrae tutta insieme la classe con il proprio insegnante e nella quale andare dopo molti anni a curiosare, giocando a chi si riconosce.
Vorrei dunque sapesse che … aveva un proprio profilo su Facebook, del quale si serviva prevalentemente per curiosare tra informazioni piccole e grandi, messe in rete dagli altri e di cui non si avrebbe immediata disponibilità se non convergessero in questo contenitore, e la password di accesso era gelosamente custodita nella sua testa, come certamente altri segreti, o le proprie sofferenze, i momenti di smarrimento, tutto quanto avrebbe potuto ferire le persone a cui teneva.
Conosco ovviamente l’indirizzo e-mail di cui si è servito per il login, perché è quello al quale avevo scritto nei rari momenti in cui ci era capitato di essere uno qua, l’altro là, ma ignoro appunto la password, pertanto non posso accedere al suo profilo per disattivarlo, ed impedire che ai suoi quasi 400 amici o comunque contatti telematici si ricordi perentoriamente l’11 maggio di ogni anno che dio manda in terra, giorno del suo compleanno, e li si inviti a fargli gli auguri, ed impedire anche che ci sia chi, ignorando il suo decesso, lo faccia davvero, e qualcuno si spinga addirittura ad intasare la sua bacheca con amenità o considerazioni semiserie che possono risultare come monologhi, ai quali quel cafone indignato non replica mai, se non si è al corrente del fatto che appunto … è morto e non c’è più e non può replicare.
Le norme che giustamente tutelano la privacy dell’utente di Facebook, per certo impediscono che a un terzo venga rivelata la chiave d’accesso, tanto più, me ne rendo conto, se nessuna relazioni parentale istituzionalizzata è dimostrabile, ed è questo il caso di … e me, compagni di un’intera vita e, come vede, anche oltre di essa, ma non marito e moglie, non famiglia di fatto, non vincolati dal codice civile e da un’iscrizione congiunta all’anagrafe.
Lei o i suoi tecnici potreste pertanto supporre che io sia un’intrusa, ed abbia escogitato questo ignobile escamotage per carpirgli chissà quale segreto, come fanno certi mariti incapaci di tenersi strette le proprie mogli, ma le dimensioni di questa mia lettera ed il tono che uso e le parole scelte spero la inducano a darmi credito, a rivelarle la mia sincerità e a far sì che lei accolga la mia richiesta e mi sia pertanto solidale nel disperato tentativo di far sì che …, anche qui, requiescat in pace.
In fede
Prova