Appartenenze
Trovo che la descrizione di cosa sia il Pd fatta da Maria Teresa Meli sul Corriere della Sera di oggi (L’altolà dei renziani al partito unico della sinistra “antica”, p. 5), sia un’ottima spiegazione del perché mi senta, anzi sia, tanto distante da quell’assembramento che pare ora tanto in auge.
E in altre parole del perché “io non appartenga” a quello schieramento, e quello schieramento “non mi appartenga”. Siamo uno qua e uno là, tutto qui.
Scrive Maria Teresa Meli: «Insomma, per Renzi il Pd “non può essere un insieme di correnti culturali, di tradizioni politiche diverse che si uniscono, perché così non è spendibile, non è credibile e non vince”. “Deve essere una cosa nuova”, come ha ripetuto tante volte, “in grado di catturare le persone che hanno votato per Grillo e per il Pdl”. Ecco, “un partito delle persone”, dove ognuno ha un nome e ognuno viene consultato (…). Dunque “un partito comunità”, che rifiuta “l’idea novecentesca dell’appartenenza”».
Ciò che appare non spendibile, non credibile e non vincente – se ne deriva naturalmente da tal ragionamento – è ogni singola “corrente culturale” che, unita alle altre, ne fa “un insieme”, e, di più, pare, l’esser proprio una “corrente culturale”. Un’idea generale, un valore, un’aspirazione, un barlume di convinzione e speranza sarebbero dunque moneta difettosa e partita persa in partenza.
Non l’unione di “tradizioni politiche diverse”, ipoteticamente inconciliabili e non riconducibili a un unico denominatore comune o quanto meno a una ragionevole mediazione proficua per esser più appetibile di quanto le venga contrapposto, ma la “tradizione politica diversa”, ed ogni singola componente di essa: la tradizione, la politica e la diversità.
Già questo è sufficiente per segnar la distanza che ci divide, la reciproca non appartenenza e il corrispettivo disinteresse. Scrive, come si è visto, Maria Teresa Meli: «Ecco, “un partito delle persone”, dove ognuno ha un nome e ognuno viene consultato».
Al punto tale che nessuno, nessuna persona, è stata consultata per scegliere il proprio premier il quale riveste una carica “not in my name” e allo stato attuale nemmen della maggioranza che certamente lo potrebbe a pieno diritto eleggere. Ma in quella frase di più colpisce il “partito delle persone”, che in realtà è il “partito della persona”, il cui faccione vien impresso nel manifesto elettorale ed anche in quel che si ha da dire riguardo l’ambiente sì e l’ambiente no, il liberismo sì e il liberismo no.
I tentati ricatti morali di chi, appellandosi all’irrinunciabile ed insopprimibile ostinazione con cui osteggio la logica del profitto e della rendita a svantaggio del salario e dei presupposti classisti o razzisti della comunità – società comunità, non partito comunità – chiede ancora supporto a un assembramento tanto distante dalle analisi marxiste e anche solo dai basamenti socialdemocratici, alla luce di questo abbecedario per minorati (e minoritari), non hanno speranza di attecchire.
Non ci apparteniamo, no, e sono io quello rimasto contro la proprietà privata intesa come strumento per sfruttare un proprio simile, anziché com terra, acqua, aria, cibo a propria disposizione. Non ci apparteniamo e non facciamo parte, non siamo partito, non parteggiamo. Non insieme.
Perciò auguri di buon lavoro, ognun per la sua strada e dio… per chi ci crede.
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