36 anni e 90 minuti
Se lo raccontassero a uno dei miei amici o a chi comunque mi conosce abbastanza bene non ci crederebbe: Daniele Pugliese che per 4 ore se ne sta inchiodato su una sedia ad ascoltare che cos’è un catenaccio non in senso giornalistico inteso, un modulo (anch’esso non nella sua accezione giornalistica), lo schema, la zona, la rimessa, il corner, il dribbling e così via.
E invece è vero, l’ho fatto ed anche con piacere, a dispetto di quello che dissi a Gabriele Capelli il primo giorno che entrai in redazione e mi chiese che cos’avrei voluto scrivere: «Qualunque cosa, purché non di calcio». Un patto che ho scrupolosamente onorato in 36 anni di onorata carriera ormai prossima al tramonto, per giungere in fondo alla quale l’ordine dei giornalisti s’è ingegnato che bisogna ottenere i “crediti formativi”, orripilante espressione desunta dagli sportelli bancari dove un qualche senso il riscontro di cassa ce l’ha, ovvero il gioco del dare e dell’avere, dei meno e dei più.
Ne ho già scritto, per restar iscritti all’albo senza il quale in teoria non si potrebbe esercitare il mestiere – poco importa che poi lo si eserciti o meno e t’abbiano rottamato anzitempo – si deve tornare a scuola, e chi non prenderà mai in mano una telecamera s’improvvisi cameraman, critico musicale chi non conosce il do re mi e così via, pur di far circolare qualche euro con cui foraggiare forse qualche disoccupato e certamente qualche ammanicato.
Io mi sono divertito ascoltando l’insegnante che avevo avuto l’occasione di conoscere alla fine degli anni Novanta ricevendolo in Borgo San Pietro a Bologna, dove io dirigevo le varie edizioni di “Mattina” in Emilia Romagna e lui allenava la squadra rosso blu riscattandola dall’umiliazione. L’insegnate è Renzo Ulivieri, mister e tenace cuore ispirato a ideali d’antan, che all’epoca fu invitato da Walter Guagneli e forse da Luca Bottura.
È stato bravo, accattivante e simpatico, capace davvero come dice lui di far appassionare uno che non sa che ci stanno a fare quei 23 in campo, come appunto sono io. Che continuerò ad appassionarmi poco di calcio, a non scrivere su di esso, e periò ho preso dei crediti formativi per essermi formato su un argomento inutile. Per me inutile. Anzi, per i miei lettori, per mio tramite, inutile.
Insomma io credo che basterebbe andare a sentire un concerto, un’opera, la conferenza del primo arrivato o la presentazione di un libro per avere crediti formativi valevoli a restare nell’ordine dei giornalisti, perché comunque la si giri dopo uno ne sa qualcosa di più.
Ma questo è quello che oggi passa il convento.
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