Hanno ammazzato Pablo
«Hanno ucciso l’Unità », titola l’Unità nel giorno in cui giunge la notizia che hanno ucciso l’Unità. L’Unità e con lei i colleghi che ci lavoravano. Quelli che c’erano quando c’ero anch’io.
Quelli rientrati dispiaciuti che con loro non ci fossimo più Antonio Zollo, Morena Pivetti, Andrea Guermandi, Dario Guidi, Serena Bersani, per citare quelli con cui sono rimasto maggiormente legato e in contatto e dei quali, o meglio della cui professionalità, ho una stima immensa.
Quelli rientrati contenti che qualcuno di noi fosse stato fatto fuori e, insomma, il nostro esser sommersi, fosse il loro esser salvati.
E poi quelli giunti dopo, portati da Padellaro, da Colombo, da Conchita De Gregorio o anche, diciamolo, da questo o quel segretario succedutosi alla guida di quella roba che oggi si chiama Pd, governa l’Italia e, com’è già avvenuto, quando è giunto alla mèta si scorda, dimentica, preferisce altro, tira fuori il peggio del proprio cinismo e della propria poca lungimiranza.
I pochi regolarizzati e i tanti tenuti a bagno maria, collaboratori in eterno, precari a vita, 1 euro a pezzo se va bene, firme mai lette prima.
«Hanno ucciso l’Unità » e con lei i colleghi che ci lavoravano, ma anche quelli fortunatamente passati ad altre testate, non pochi anche a giornali più prestigiosi. E quelli che hanno dovuto fare nuove esperienze, riciclarsi negli uffici stampa, nelle attività di comunicazione, nei rivoli di una professione che ha sempre più lati oscuri e sempre più mi fa pensare che forse non vale la pena di percorrere quella strada.
E quelli che si sono messi a far proprio altro: una corsa a finire gli esami lasciati in sospeso perché far la nera vuol dire stare ore ed ore sul pezzo, dal mattino quando arrivano i cancellieri e aprono le procure, a notte quando i farabutti prima pensano di farla franca e poi scivolano sulla buccia di banana; finire gli esami, prendersi la laurea ed esercitare la professione con qualcuno che, come te prima, verrà a chiederti come evolve il processo e che carte ha in mano il Pm.
O anche il barista sperando che nel tuo locale ci torni uno come Hemingway, che forse sarebbe più soddisfazione che scrivere “Lite Renzi-Grillo”, “Guerra Grillo-Berlusca” e varianti sul tema.
E ancora quelli che quando è stata uccisa per la seconda volta la loro Unità, pochi gli hanno detto: «Cazzo, è una porcata, mi dispiace». A me è andata così, e tra quei pochi, per fortuna, qualcuno de l’Unità c’era. Ma qualcuno, invece, ha applaudito: mors sua, vita mea.
Non importa. Col tempo si impara. Si diventa più duri, ma il livore lo si è sputato. Oggi uccidendo l’Unità viene ucciso anche tutto questo universo qui.
Quando si uccide qualcuno, mi avrebbe detto chi mi ha insegnato il mestiere, si scrive un articolo per l’omicidio e poi ne va scritto uno sulle indagini e sul presunto assassino. Questo bisognerebbe farlo. A me piacerebbe farlo. A me piacerebbe che qualcuno lo facesse.
Nel mio archivio ho le carte che dicono che la storia di questo giornale così com’è stata scritta è incompleta, nasconde pezzi importanti.
Scoprire le carte di quando l’Unità fu chiusa l’altra volta cacciandoci tutti, forse servirebbe a capire anche perché oggi viene chiusa nuovamente. Io spero solo per poco, ma ne dubito e mi dispiace: per i colleghi che ci lavorano, per Gramsci, per i potenziali lettori.
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Mi domando che cosa abbia mai in comune questa Unità con il quotidiano fondato da Antonio Gramsci. Senza nulla togliere alle penne di indubbia levatura che restano orfane di una testata storica e di tutti quanti i suoi lavoratori, i quali hanno ricevuto e ricevono un indegno trattamento, il quotidiano è ormai oggetto da alcuni anni di un’operazione commerciale e di marketing che tradisce la sua vocazione originaria. Mi chiedo come si fa a parlare dell’Unità come di un “brand”, di un marchio, accomunandolo a una merce. Se poi sono reali le trame ipotizzate, ovvero il tentativo di farla fallire per ricomprarne il marchio, così da renderla più vendibile, epurando nel frattempo gli elementi meno graditi alla attuale linea piddina, allora si è davvero toccato il fondo. In questo miscuglio di cattiva imprenditoria e cattiva politica è riassunta tutta la decadenza di un paese. La sinistra, o ciò che ne rimane, si degrada a “brand”, per meglio vendersi ed essere più appetibile ai nuovi padroni.
E’ la metafora della ingloriosa parabola della sinistra italiana: si tradiscono i lavoratori e ci si venda al Capitale. Auguri.